di Chiara Ugolini (repubblica.it, 9 giugno 2024)
Se nel film di Greta Gerwig, che lo scorso anno ha sbaragliato i cinema mondiali, c’era Issa Rae nei panni della Barbie Presidente (prima afroamericana a conquistare la Casa Bianca, almeno nella fantasia) lo si deve a tre donne che contribuirono a una rivoluzione: la prima Barbie nera nella storia della Mattel.
Arriverà su Netflix il 19 giugno il documentario prodotto da Shondaland e realizzato dalla regista Lagueria Davis Black Barbie, che ricostruisce la storia del primo esemplare nero della bambola della Mattel conosciuta in tutto il mondo. Il film racconta il ruolo che tre donne hanno avuto nel portare nei negozi del 1980 una bambola che permettesse alle bambine afroamericane di riconoscersi. «Se nella vita non vedi mai qualcosa fatto come te, che riproduce la tua immagine, allora si produce un danno» dice Shonda Rhimes nel documentario. Non stupisce che la showrunner dell’inclusione, che ha portato personaggi neri nel mondo della Londra Regency, abbia prodotto un film che «esamina l’importanza della rappresentazione e come le bambole possano essere essenziali per la formazione dell’identità e dell’immaginazione».
Tutto è iniziato grazie alla intraprendenza di un’impiegata della Mattel, la signora Beulah Mae Mitchell, che alla creatrice della bambola, la signora Ruth Handler, pose una semplice domanda: «Perché non facciamo una Barbie come me?”. La signora Mitchell è la zia della regista. «Crescendo a Fort Worth, in Texas, avevo incontrato mia zia Beulah, che viveva in California, solo due volte» racconta nelle sue note di regia. «Quando mi sono trasferita a Los Angeles nel 2011 e sono andata, giovane regista che muoveva i primi passi nel settore, a vivere da lei, sentendola raccontare la storia di come è passata dal lavorare alla catena di montaggio Mattel all’incoraggiare Ruth Handler a creare una bambola che le somigliasse, ho capito che c’era una storia dietro la prima Barbie nera. Ascoltando mia zia e guardando i suoi cimeli Mattel, ho capito perché lei e le sue colleghe nere hanno voluto una Barbie che somigliasse a loro».
Da lì la regista è partita per un viaggio alla scoperta delle ragioni per cui l’azienda, fondata nel 1945 da Elliot Handler e Harold “Matt” Matson, ci aveva messo 21 anni a produrre la sua bambola modello, una rivoluzione per le bambine di tutto il mondo, che non avevano più in mano un bambolotto da cullare ma una figura aspirazionale, in una versione che non corrispondesse al modello “bianca con gli occhi azzurri”. «Ricordo di aver avuto tre bambole da bambina» prosegue Lagueria Davis. «La prima era una bambola a grandezza naturale di Krystle Carrington di Dinasty, la seconda era una bambola Cabbage Patch nera (in Italia “Bamboli del Campo Incantato”). La terza una bambola afroamericana Raggedy Ann che mia madre aveva fatto fare apposta per me, pagandola 150 dollari. Non eravamo una famiglia ricca, per mia mamma quella spesa era davvero considerevole. Pensavo che la mia bambola Krystle fosse bellissima e avrei voluto somigliarle, ma ero consapevole di essere più simile alle altre due, che però non mi sembravano altrettanto belle. Da bambini, nonostante emozioni contrastanti, abbiamo bisogno di immagini in cui rispecchiarci. Penso che valga la pena esplorare la storia dietro quel conforto che proviene dal riflettersi in qualcosa che ti somiglia, e come quella zona di conforto possa costruire o decostruire la propria identità».
E chissà che un giorno gli Stati Uniti d’America abbiano una vera Presidente donna e nera. Sarebbe anche un po’ merito della zia Beulah.