Bergoglio e quel debole per il Neorealismo

di Nicola Graziani (agi.it, 18 luglio 2021)

Ho visto tutti i film di Aldo Fabrizi e Anna Magnani e amo il Neorealismo: Papa Francesco aveva già professato, nelle sue prediche da Santa Marta nel primo lockdown imposto dal Covid-19, la sua ammirazione per il cinema italiano dell’immediato dopoguerra. Oggi torna sull’argomento in una lunga intervista con Dario Viganò, pubblicata nell’ultimo libro del monsignore: Lo sguardo: porta del cuore. Il Neorealismo tra memoria e attualità (Effatà). «Devo la mia cultura cinematografica soprattutto ai miei genitori», racconta Bergoglio.

«Quando ero bambino, frequentavo spesso il cinema di quartiere, dove si proiettavano anche tre film di seguito. Fa parte dei ricordi belli della mia infanzia: i miei genitori mi hanno insegnato a godere dell’arte, nelle sue varie forme. Il sabato, ad esempio, con la mamma, insieme ai miei fratelli, ascoltavamo le opere liriche che trasmettevano alla Radio del Estado (oggi Radio Nacional). Ci faceva sedere accanto all’apparecchio e prima che cominciasse la trasmissione ci raccontava la trama dell’opera. Quando stava per iniziare qualche aria importante ci avvertiva: “State attenti, questa è una canzone molto bella”. Era una cosa meravigliosa. E poi c’erano i film al cinema, per i quali i miei applicavano lo stesso metodo: come facevano con le opere, ce li spiegavano per farci orientare». È in questo contesto che è nato il suo rapporto con il Neorealismo italiano: «Tra i film che i miei vollero assolutamente che noi conoscessimo c’erano proprio quelli del Neorealismo. Tra i dieci e i dodici anni credo di aver visto tutti i film con Anna Magnani e Aldo Fabrizi, tra cui Roma città aperta di Roberto Rossellini che ho amato molto. Per noi bambini in Argentina, quei film sono stati molto importanti, perché ci hanno fatto capire in profondità la grande tragedia della guerra mondiale. A Buenos Aires la guerra l’abbiamo conosciuta soprattutto attraverso i tanti migranti che sono arrivati: italiani, polacchi, tedeschi… I loro racconti ci hanno aperto gli occhi su un dramma che non conoscevamo direttamente, ma è anche grazie al cinema che abbiamo acquisito una coscienza profonda dei suoi effetti».

Inutile dire, spiega il Papa, che «i film del Neorealismo ci hanno formato il cuore e ancora possono farlo. Direi di più: quei film ci hanno insegnato a guardare la realtà con occhi nuovi. Ho apprezzato moltissimo che questo libro colga questo aspetto fondamentale: il valore universale di quel cinema e la sua attualità quale importante strumento per aiutarci a rinnovare il nostro sguardo sul mondo». Una lezione che si può ben definire attuale. «La difficile situazione che stiamo vivendo, segnata a fondo dalla pandemia, genera preoccupazione, paura, sconforto: per questo servono occhi capaci di fendere il buio della notte, di alzare lo sguardo oltre il muro per scrutare l’orizzonte», spiega Bergoglio. «Oggi è tanto importante una catechesi dello sguardo, una pedagogia per i nostri occhi spesso incapaci di contemplare in mezzo all’oscurità la “grande luce” che Gesù viene a portare. Una mistica del nostro tempo, Simone Weil, scrive: “La compassione e la gratitudine discendono da Dio, e quando vengono donate attraverso uno sguardo, Dio è presente nel punto in cui gli sguardi s’incontrano”». Inoltre, «quello neorealista è uno sguardo che provoca la coscienza. I bambini ci guardano è un film del 1943 di Vittorio De Sica che amo citare spesso perché è molto bello e ricco di significati. In tanti film lo sguardo neorealista è stato lo sguardo dei bambini sul mondo: uno sguardo puro, capace di captare tutto, uno sguardo limpido attraverso il quale possiamo individuare subito e con nitidezza il bene e il male».

Non a caso, «La strada di Fellini è il film che forse ho amato di più. M’identifico molto in quel film, in cui troviamo un implicito riferimento a San Francesco. Fellini ha saputo donare una luce inedita allo sguardo sugli ultimi. In quel film il racconto sugli ultimi è esemplare ed è un invito a preservare il loro prezioso sguardo sulla realtà. Penso alle parole che il Matto rivolge a Gelsomina: “Tu sassolino, hai un senso in questa vita”. È un discorso profondamente intriso di richiami evangelici. Ma penso a tutto il percorso di Gelsomina: con la sua umiltà, con il suo sguardo pienamente limpido, riesce ad ammorbidire il cuore duro di un uomo che aveva dimenticato come si piange. Questo sguardo puro degli ultimi è capace di seminare vita nei terreni più aridi. È uno sguardo di speranza, che sa intuire la luce nel buio: per questo va custodito». Sia chiaro: «I film neorealisti non sono dei documentari che restituiscono una semplice registrazione oculare della realtà; la restituiscono sì, ma in tutta la sua crudezza, attraverso uno sguardo che coinvolge, che muove le viscere, che genera compassione. È la qualità dello sguardo a fare la differenza, allora come oggi. Quello neorealista non è uno sguardo da lontano, ma uno sguardo che avvicina, che tocca la realtà così com’è, che se ne prende cura e, dunque, che mette in relazione».

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