di Paolo Mereghetti (corriere.it, 4 marzo 2025)
E adesso Anora, dopo aver entusiasmato i paladini del cinema (pseudo) indipendente perché ha sconfitto il “mostro” Netflix (che aveva puntato le sue carte e i suoi milioni di dollari su Emilia Pérez), rischia di diventare anche il campione della svolta politica trumpiana. È bastato che ai premi dell’Academy fosse nominato come attore non protagonista anche il russo Yura Borisov, che probabilmente il regista Sean Baker aveva apprezzato (come molti altri spettatori) nel film russo-finlandese Scompartimento n. 6, perché la diplomazia made in Mosca vi leggesse scelte politiche filo-Putin.
Che sicuramente non ci sono, ma che rischiano di essere giustificate dall’involuzione contenutistico-moralista che ha preso sempre più piede tra i membri dell’Academy. Arrivati alla novantasettesima edizione, la prima dove le regole sull’inclusività diventavano essenziali per partecipare alla gara per il miglior film (uno dei protagonisti deve appartenere a una minoranza etnica o il 30 per cento del cast dev’essere composto da donne, afroamericani, ispanici, Lgbtq, disabili eccetera eccetera), le qualità artistiche di un film sembrano non contare più niente.
Abbiamo visto come i discutibili tweet di Karla Sofia Gascón scritti in passato hanno di fatto estromesso il film di Jacques Audiard dai premi più importanti. Adesso una nomination che probabilmente è stata favorita dall’entusiasmo generale per un film carino ma non certo indimenticabile com’è Anora, e che non ha portato alla statuetta, viene letta come se ci fosse Kissinger alla guida dell’Academy, sia da parte di chi fa notare che Borisov non ha fatto dichiarazioni a favore dell’invasione ucraina ma neanche contro (come si è affrettato a far notare il produttore Alexander Rodnyansky), sia da parte di chi vede in quella nomination un segno di distensione pro-Putin. Scatenando una caccia alle intenzioni (e alle streghe) che gli Stati Uniti hanno già sperimentato in passato.
Ma tornare a giudicare i film e attribuire i premi solo sulla base delle qualità artistiche non sarebbe meglio? Magari si potranno commettere errori, ma si eviterebbe di ergersi a Torquemada, che in quanto a errori ne ha fatti molti di più di qualsiasi critico.