di Stefania Carini (linkideeperlatv.it, 8 febbraio 2018)
Il problema, al solito, è il meccanismo elettorale. Bisogna capirlo bene, per non sbagliare. Anche perché quest’anno in sala stampa si vota tutte le sere. E a Sanremo un vincitore certo l’ultima sera ci deve essere, fra un mese invece con il Rosatellum chissà.Sì, questo è uno di quegli anni in cui dopo il Festival di Sanremo arrivano le elezioni politiche. E allora mi sono chiesta: c’è qualche filo che lega quello che accade sul palco e ciò che accade nelle urne? Sì, no, forse. Nessun saggio storico o sociologico, solo la voglia di giocare un po’ tra l’Ariston e il Parlamento (con un riferimento costante al solito, fondamentale, Almanacco del Festival scritto da Eddy Anselmi).
1953. Al Festival è introdotta la giuria popolare: accanto a ottanta spettatori sorteggiati al Casinò possono votare anche gli spettatori dalle sedi Rai sparse per l’Italia. La democrazia avanza? Anche in politica si cambia, si vota con una nuova legge che introduce un premio di maggioranza, cosa che spaventa molti (le si dà il nome di Legge Truffa). Allora, almeno, non si usava male il latino. Vince la DC pur arretrando un po’, mentre il PCI si rafforza. I monarchici raggiungono il loro massimo storico, sfiorando il 7%, ma sarà l’ultima volta. D’altra parte, a Sanremo, qualche mese prima, la canzone entrata nella memoria di tutti è la terza qualificata, Vecchio scarpone: trionfo del patriottismo, forse della retorica militaresca, e di sicuro ultima zampata della generazione di reduci (di guerra e della propria gioventù).
1958. Al Festival è il momento del cambiamento: è l’anno in cui si canta a braccia aperte, è l’anno di una canzone moderna, di Volare e di Modugno. È la società italiana che si sta gettando in un cambiamento sempre più repentino, tanto che un mese dopo il Festival sarà approvata la Legge Merlin. La DC è di nuovo maggioritaria con tutta la coalizione centrista, mentre il PCI è stazionario.
1963. Vince la DC, ma muore il centrismo, e inizia l’alleanza con la sinistra. C’è il primo governo Moro. All’Ariston aveva vinto la canzone Uno per tutte di Renis-Pericoli, detronizzando i favoriti Milva e Villa. Tutto si (s)muove? Qualche commentatore sottolinea come il canto, ben più della democrazia, possa favorire l’avvento delle classi diseredate e l’emancipazione dei lavoratori. Non lo si scrive ancora, ma pare di intuire che la società dello spettacolo permetta e prometta di più della politica, anche quando questa si spinge a sinistra. Ci può essere una rivoluzione sociale: ma individuale e basata sulla fama.
1968. È l’anno rivoluzionario per antonomasia, ma la rivoluzione non arriva ovunque allo stesso modo e allo stesso orario. A condurre il Festival c’è Pippo Baudo. Che per noi ora è IL Festival, ma quella era la sua prima volta, e a inizio manifestazione disse pure che temeva potesse essere il suo primo e ultimo Festival, #einvece. Non è il Festival dei capelloni (c’erano stati già l’anno prima), ma c’è ospite Louis Armstrong. La canzone dei Rokers dal titolo Le opere di Bartolomeo, storia di un operaio che sogna il riscatto con la poesia, nemmeno si classifica. Nelle urne cambia poco: la DC e l’alleanza di centro-sinistra mantengono la maggioranza, anche se appaiono un po’ in calo.
1972. Anni Settanta, anni caldi anche a Sanremo. Sciopero! Sì, il sindacato Cisas e l’Unione Cantanti Italiani protestano perché non sono stati rispettati, secondo loro, i parametri per l’ammissione al Festival. Claudio Villa è l’agitatore, e si fanno sentire anche Dalla, Modugno e Morandi. Si chiede alla trasmissione di andare in scena un mese dopo, così da selezionare di nuovo le canzoni. Poi il giovedì, a poche ore dalla messa in onda, tutto rientra. Amici come prima! Nonostante Mike Bongiorno, si intravedono sprazzi di libertà anarcoide: Paolo Villaggio come spalla e l’esibizione da “comune hippie” dei Delirium con Jesahel. All’Ariston si vota utilizzando un “cervello elettronico”, che si inceppa sul finale: la democrazia digitale già mostra le sue falle. Quell’anno si indicono le prime elezioni anticipate della storia della Repubblica, per divergenze tra socialisti e democristiani. C’è una prima volta per tutto!
1976. È un Sanremo strano: a condurre c’è Giancarlo Guardabassi, che introduce le canzoni in stile radiofonico. È un Saremo choc: il sesso domina in molte canzoni, e molti sono scandalizzati (vince Peppino di Capri con Non lo faccio più, su uno spogliarello). È un’elezione strana: per la prima volta votano anche i diciottenni. È un’elezione choc: il PCI compie un balzo incredibile e si posiziona a pochi punti dalla DC. Prende corpo il compromesso storico, con il PCI in appoggio esterno all’area di centro.
1979. DC e centro non hanno la maggioranza, e cercano l’appoggio dei socialisti. I radicali si fanno largo, il PCI arretra. All’Ariston, pochi mesi prima, c’è ancora Mike Bongiorno. Che racconta di un Festival che ritorna alla sfera privata, perché “i ragazzi vogliono ballare come John Travolta, non tirare i sassi”. È il riflusso che va messo in scena e confermato. Scriveva Michele Serra che il Festival vuole dimostrare la fine della seriosità politica. Il maggior successo in quei mesi è Pippo Franco che canta, fuori concorso, Mi scappa la pipì papà.
1983. Ci sono tutti gli anni Ottanta là su quel palco, come li conosciamo noi che li abbiamo vissuti, ancora forse senza una certa distanza storica. Gli anni Ottanta eccessivi, individualisti e tradizionalisti. C’è Benigni che piglia per il culo Fanfani allora presidente del Consiglio. C’è Vasco che canta che vuole una vita spericolata, piena di guai. C’è Cutugno che fa l’italiano vero, con la chitarra in mano e un partigiano come presidente. E alle elezioni la DC soffre, il pentapartito è realtà, il PSI è forte: Pertini affida per la prima volta nella storia repubblicana la formazione del governo a un uomo di sinistra, Bettino Craxi.
1987. Politica e spettacolo si confondono. Domenico Modugno e Gino Paoli non sono al Festival, ma in Parlamento. Cicciolina pure è stata eletta tra i radicali, mentre Patsy Kensit aveva perso una spallina qualche mese prima a Sanremo. Ma poteva essere il contrario. La bontà degli intenti di Si può dare di più vince il Festival, condotto da un Pippo Baudo incazzato nero perché il presidente della Rai Enrico Manca gli aveva dato del nazionalpopolare. Allora pareva un insulto, ora invece tutti vogliono essere nazionalpop. Baudo è così arrabbiato che qualche giorno dopo passerà alla Fininvest. C’è una nuova tv, e nuove istanze emergono. Entrano in parlamento i Verdi e la Lega Nord, con un certo Umberto Bossi.
1992. In un panorama congelato, gli italiani si sono disaffezionati alla politica. La DC è al minimo storico, si affermano la Lega Nord e la Rete di Leoluca Orlando. Il PCI non c’è più, sostituito dal PDS. C’è un Parlamento senza una vera maggioranza, scosso da ogni parte, tra Tangentopoli e la strage di Capaci. All’Ariston si vota per la prima volta subito dopo la canzone, e la paura è che il pubblico rimanga colpito dall’emotività della tv e non dalla bontà della canzone. Le emozioni, sempre più esasperate, contano così tanto? Pippo Baudo (sì, è tornato in Rai, e conduce ancora lui) è co-protagonista dell’incursione di Cavallo Pazzo. Ecco. Però a vincere è Barbarossa che porta a ballare la mamma.
1994. Il Festival lo conduce sempre Pippo Baudo, quello del ’68, quello che temeva di non tornarci più. Tutto è politica e spettacolo, quindi polemica: Nilla Pizzi concorre con Squadra Italia ma deve spiegare che non è un appoggio a Forza Italia, Jannacci dice a Rossi di togliere dalla canzone che stanno per cantare l’urlo Forza Italia. Già, c’è un nuovo partito e Silvio Berlusconi forma il suo primo governo. Nasce la Seconda Repubblica, mentre al Festival è rinato Giorgio Faletti grazie all’intensa Signor tenente.
1996. A Sanremo gli Elii cantano una canzone molto politica: “Parcheggi abusivi, applausi abusivi, villette abusive, abusi sessuali abusivi, tanta voglia di ricominciare abusiva. Appalti truccati, trapianti truccati, motorini truccati che scippano donne truccate, il visagista delle dive è truccatissimo. Papaveri e papi, la donna cannolo, una lacrima sul visto: Italia sì, Italia no”. Le elezioni confermano che il sistema è bipolare, Polo vs Ulivo. Il format è consolidato. Vince Prodi.
2001. La giuria di qualità è inserita in gara al Festival del 1999 (il primo di Fazio). Solo che la qualità può farsi prendere la mano, come nel 2000 (il secondo di Fazio), quando forzando il meccanismo aveva fatto vincere gli Avion Travel, con grande scontento. Nel 2001 allora la qualità viene calmierata (vince Elisa con Luce). Ah, la qualità! Quell’idea che si possa votare per esperienza, gusto, forse per censo! Un’idea che talvolta sembra pervadere anche l’elettorato di centro-sinistra, stufo di perdere: Silvio Berlusconi infatti torna a vincere, su Francesco Rutelli.
2006. A Sanremo con la canzone del piccione vince Povia, quello che sul web ora ci spiega “chi comanda il mondo” con i video complottisti. Dal 2004 c’è anche il televoto: a Sanremo si parla ormai di reality. In politica idem, o quasi. La metafora è entrata nell’uso comune. Vince Prodi, ma di poco, e la serata elettorale con lo spoglio delle schede diventa appunto uno show, più surreale della casa del Grande fratello: alti e bassi, discese e risalite, cuore e batticuore. “Le nomination dei reality sono uno scherzo se confrontate con il balletto dei numeri elettorali, con l’incertezza dello spoglio”, scrive Aldo Grasso.
2008. Scioglimento anticipato del Parlamento: Prodi cade, Berlusconi torna a vincere. Pochi mesi prima, con Baudo di nuovo sul palco, Frankie Hi-Nrg cantava: “Cambio di programma: annulliamo la rivolta. Abbiamo una famiglia e non dev’essere coinvolta… Non si fa la rivoluzione, l’hanno detto in televisione… chi c’è andato, che delusione! Era chiuso anche il portone”.
2013. È il ritorno di Fazio, e grandi sono le polemiche perché si teme un “Festival di sinistra”. Lo si vorrebbe addirittura posticipare, perché cade troppo vicino alla chiamata alle urne. Niente da fare. Si va avanti. Tutti, tranne uno. Maurizio Crozza scende le scale dell’Ariston nei panni di un Berlusconi chansonnier, è pesantemente fischiato, deve interrompere. Fazio entra in scena e calma gli animi. Crozza si esibisce poi anche nei panni di Bersani. Grillo invece è il comico che fa sé stesso ma ormai in politica. Alle elezioni nessuno è vincitore, il Parlamento non ha una maggioranza, è la nascita, si dice, della Terza Repubblica per l’entrata in scena del M5S. “Mentre il mondo cade a pezzi”, cantava Mengoni quell’anno, vincendo.
E infine, 2018. Michele Anzaldi, PD, si è lamentato per la presenza in giuria di Andrea Scanzi, che in fondo ringrazia vivamente per la pubblicità. È uscita la notizia di un Salvini presente all’Ariston nella finale, in sesta fila, non inquadrato per non violare la par condicio. Però chissà, fuori dall’Ariston può fare un pre-show, come accadde per Grillo: nel 2014 comprò i biglietti e diede vita a una vera caccia all’uomo, con comizio finale prima di entrare a teatro. La Rai sarà anche da abbattere, ma Sanremo è Sanremo, e pure la Berti è la Berti se appoggia Di Maio (#iltoyboydiOriettaBerti miglior battuta, copyright Fiorello, l’unico che riesce a giocare con le elezioni senza far infuriare nessuno). In conferenza stampa Ornella Vanoni dice che voterà Bonino, la collega di Quinta Colonna allora le chiede se Sanremo è di destra o di sinistra, e se lei ha paura di ripercussioni (!) visto quanto già accaduto alla Berti. Vanoni: “Ma il talento non ha colore politico”. Come cantano quelli de Lo Stato Sociale: “Niente nuovo che avanza, ma tutta la banda che suona e che canta. Per un mondo diverso, libertà e tempo perso, e nessuno che rompe i coglioni, nessuno che dice se sbagli sei fuori”.