di Massimo Basile (agi.it, 20 aprile 2021)
Vicepresidente con Jimmy Carter e candidato presidente per i democratici nel 1984, Walter Mondale, scomparso oggi a 93 anni a Ceylon, Minnesota, resterà per gli americani l’uomo discreto della politica pre-show, quello che, masticando il sigaro, rifiutò di mischiare vita privata e politica, e trasformare le tragedie personali in strumento elettorale. Nei suoi comizi da candidato presidente, Mondale era quello che denunciava la crisi degli agricoltori evitando di raccontare la storia del padre che aveva perso tutto nel 1920 con il collasso dei prezzi del grano. Era quello che lanciava grida d’allarme sull’aumento dei costi delle polizze sanitarie senza raccontare della madre, che aveva perso la copertura quando si ammalò di cancro.
Forse anche per questo Mondale non ebbe speranza contro l’astro nascente dei repubblicani, l’attore Ronald Reagan, così cinematografico e televisivo in ogni sua dichiarazione. Era emerso con la sua ostinazione dall’America rurale, cresciuto a Ceylon, il piccolo centro con Heron Lake ed Elmore, una triade sacra dei paesini agricoli del Minnesota, il più popoloso dei quali non arrivava a 950 abitanti. Laureato all’Università del Minnesota, militare nella guerra in Corea, poi avvocato, è dal ventre agricolo dell’America che Mondale costruì la sua ascesa politica, facendo della famiglia dei farmers le “basi di una nazione forte”, sostenuto dalla moglie, Joan, e dai tre figli. I suoi riferimenti erano il presidente John Kennedy e Hubert Humphrey, vicepresidente dal 1965 al 1969. Si affermò come un riformatore, contrario alla guerra in Vietnam, populista introspettivo deciso a contrastare i ricchi, gli industriali e i banchieri, scelto da Carter nel 1976 come vicepresidente nella corsa alla Casa Bianca. Il ticket dei farmers sconfisse quello formato da Gerald Ford e Bob Dole, ma il loro mandato venne segnato dalla crisi economica che portò al trionfo di Reagan.
Nell’84 provò la corsa da presidente, con Geraldine Ferraro vice, ma se il suo messaggio ebbe presa su quel tipo di America silenziosa, e lui impersonò la “civiltà del Minnesota”, come ha commentato la senatrice Amy Klobuchar, Mondale mancò di conquistare l’attenzione del resto del Paese. E la grande chance di andare alla Casa Bianca svanì davanti al nuovo trionfo di Reagan. I democratici hanno offerto molte interpretazioni e teorie differenti sul perché perse in modo devastante. Jesse Jackson sostenne che i democratici si erano concentrati troppo sull’elettorato bianco, ma poi fu Mondale stesso a spiegare la ragione della sconfitta: “sono stato – ammise – poco adatto ad apparire in televisione”. La politica era entrata in una dimensione televisiva che avrebbe cambiato la narrazione della politica.
Chiamato da Bill Clinton a ricoprire il ruolo di ambasciatore in Giappone, dopo il ritiro nel 1996 Mondale finì nell’oblio, trovando, alla fine, quella vetrina televisiva che gli restituì una popolarità mai veramente cercata. Avvenne con l’omaggio nella serie animata dei Simpson. Nella puntata Un clown va a Washington, Mondale impersonava il custode del Parlamento, che, esperto di “intrallazzi di governo”, aiutava Krusty il Clown a far approvare una legge in appena tre ore. Nessuno, a quel che si sa, gli chiese se avesse visto la puntata e se gli fosse piaciuta.