di Alessio Nisi (agi.it, 25 novembre 2022)
L’acquisizione e le scelte compiute da Elon Musk in questo primo mese alla guida della piattaforma di microblogging sono sempre di più un caso politico che accende negli Stati Uniti lo scontro tra democratici e repubblicani. I primi, incluso il presidente Joe Biden, hanno sollevato preoccupazioni in ordine alla sicurezza della piattaforma: timori innescati dai massicci licenziamenti imposti dal tycoon (a ora i dipendenti sono poco più di 2mila, erano 7.500 prima di Musk).
Il social, così com’è messo, non è in grado di proteggere i dati degli utenti. Dall’altra, i repubblicani, tra cui Kevin McCarthy, probabile prossimo presidente della Camera, che leggono la presa di posizione della controparte politica come il tentativo di reprimere la voce dei conservatori sul sito. Ad accendere la miccia, la riabilitazione dell’account di Donald Trump, bannato da Twitter dal 6 gennaio 2021 per incitamento all’odio, dopo i fatti di Capitol Hill. Certo, l’ex presidente non ha ancora mosso un tweet, ma il fatto resta, come restano gli 80 milioni e passa di follower che ha recuperato in poco meno di una settimana (a ora sono più di 87 milioni).
«La ricerca della libertà di parola da parte di Elon è una minaccia al Partito Democratico e ai suoi alleati nei media tradizionali» ha dichiarato proprio McCarthy al Wall Street Journal, «mentre i democratici attaccano ogni sforzo di dare ai singoli americani una voce più forte, i repubblicani saranno vigili contro la collusione tra Big Tech e questa amministrazione».
Sullo sfondo ci sono questioni gigantesche che toccano il ruolo del governo e della politica nel suo insieme nella regolamentazione di Internet. Negli ultimi anni sono aumentati gli appelli al Congresso per accrescere le tutele della privacy, per smorzare il dominio sul mercato delle grandi società tecnologiche e per aggiornare la legge che protegge le aziende che operano su Internet (leggi, i social) dalla responsabilità per i contenuti di terze parti. Ecco, democratici e repubblicani hanno spesso lavorato insieme su alcuni di questi temi, ma l’elezione di Trump nel 2016 e la pandemia di Covid-19 hanno aperto voragini.
Per i democratici l’elezione di Trump nel 2016 è stata sostenuta da indebite interferenze straniere on line, in particolare attraverso la diffusione di notizie false su Facebook. I repubblicani sostengono invece da tempo che molte piattaforme di social media, tra cui Twitter, Facebook e YouTube, abbiano soppresso la voce dei conservatori (cosa che le società chiamate in causa hanno negato). Una situazione che ha portato a una proliferazione di nuove piattaforme di social media di tendenza conservatrice, tra cui Truth Social e Parler.
Non solo. I repubblicani contestano anche la gestione delle informazioni sul Covid-19, per loro una prova della collusione tra democratici e piattaforme di social media. Non solo a parole. Per capire che aria tira, i repubblicani vogliono deporre il dottor Anthony Fauci, principale consigliere medico di Biden e massimo funzionario del governo per le malattie infettive. L’accusa? L’amministrazione Biden avrebbe colluso con le società di social media per censurare i commenti su Covid-19 e su altri temi. La Casa Bianca ha smentito: l’amministrazione, si fa sapere, resta impegnata nella lotta alla disinformazione che minaccia la sicurezza e contesta che abbia segretamente colluso per censurare i post sui social media.