(ilpost.it, 15 ottobre 2022)
Così come Hollywood, anche Bollywood, l’industria del cinema popolare in lingua hindi, è stata storicamente considerata portatrice di valori piuttosto liberali. Nonostante la società indiana sia da sempre molto divisa sia su base religiosa sia in caste, il cinema è stato a lungo una passione nazionale condivisa, nonché un settore in cui anche alle persone musulmane, e quindi di una minoranza religiosa, o appartenenti alle caste più basse, veniva data la possibilità di diventare famose.
Ma secondo un lungo reportage del giornalista indiano Samanth Subramanian, pubblicato sul New Yorker, da quando il Bharatiya Janata Party (Bjp) di Narendra Modi è salito al governo nel 2014 è diventato sempre più difficile raccontare storie che non si conformano alla visione del mondo dei nazionalisti indù, sia sul grande schermo sia nelle serie pensate per le piattaforme di streaming. Diversi produttori, registi e attori hanno parlato a Subramanian di come i casi di esplicita censura istituzionalizzata, boicottaggi, reazioni violente dei nazionalisti più estremisti e indagini a fini intimidatori si siano moltiplicati negli ultimi anni, mentre film e serie che si allineano con la visione dell’India del Bjp vengono lautamente finanziati e in alcuni casi esonerati dalle tasse.
Fin dall’indipendenza, in India convivono diversi gruppi religiosi: le persone che praticano l’induismo sono la maggioranza (circa l’80%), ma gli ultimi dati disponibili, del 2011, hanno rilevato un 14% di musulmani, un 2% di cristiani e meno del 2% di persone di religione sikh. Le comunità buddiste e jainiste sono ancora più piccole, ma contando che la popolazione indiana supera gli 1,6 miliardi di persone, si tratta comunque di milioni di persone. I musulmani vivono in tutto il Paese, e sono maggioranza nei territori di Jammu e Kashmir e nel territorio di Lakshadweep. I rapporti tra la maggioranza indù e le altre minoranze religiose, soprattutto quella musulmana, non sono mai stati distesi, ma si sono inaspriti moltissimo nell’ultimo decennio. Da quando è stato eletto nel 2014, Modi ha promosso diverse leggi volte a trasformare l’India da Paese laico a induista, passando per l’indebolimento dei diritti delle minoranze e delle comunità musulmane. Questo processo è stato accompagnato da un crescente autoritarismo e da una frequente soppressione del dissenso.
Il cinema indiano non è mai stato esente dal controllo governativo: fin dal 1951 nel Paese esiste un’autorità statale, il Comitato Centrale per la Certificazione dei Film (Cbfc), che può ordinare che un film venga modificato o essenzialmente vietarne la distribuzione, rifiutandosi di rilasciare una certificazione. Nel 2015, la precedente direttrice di quest’istituzione si era licenziata denunciando pressioni da parte del governo ed era stata sostituita da Phlaj Nihalani, un regista molto vicino a Modi contrario alla presenza di parolacce, violenza o sesso nei film indiani. Per qualche anno, i registi dei film a cui il Comitato aveva negato la certificazione avevano potuto rivolgersi a un tribunale apposito che aveva il potere di approvarli, ma è stato abolito nel 2021. Non si tratta della sola riforma in materia portata avanti dal governo Modi: sempre l’anno scorso sono state emanate nuove linee guida che obbligano le piattaforme di streaming ad eliminare dal proprio catalogo film e serie, su ordine di un tribunale o un’agenzia statale, entro trentasei ore.
A ciò si aggiungono i casi di intimidazione giudiziaria. Nel 2020, usando la scusa del suicidio di un attore a Mumbai, le autorità federali avevano avviato un’indagine sull’uso di droga tra le star del cinema indiane e avevano finito per arrestare un giovane produttore con l’accusa di spaccio, senza prove. Il produttore era poi stato rilasciato su cauzione dopo novanta giorni in prigione. In un altro caso risalente all’anno scorso, il figlio di una delle più grandi star di Bollywood, l’attore musulmano Shah Rukh Khan, era stato arrestato per sospetto possesso di droghe e, anche quando non era stata trovata alcuna prova, non era stato rilasciato per quasi un mese. «Shah Rukh Khan ha detto poco durante quelle settimane. Il resto di Bollywood, nel frattempo, ha assorbito la notizia come un’ammonizione: se possono fare questo al re, immagina cosa possono fare a noi», ha scritto Subramanian. In molti casi, però, le intimidazioni non arrivano soltanto dall’alto. Gli ambienti più estremisti del nazionalismo indù sono noti per essere violenti, e in particolare i membri del Rashtriya Swayamsevak Sangh, un’antica e potente organizzazione di volontari, ricevono addirittura un addestramento paramilitare. Già negli anni Cinquanta del secolo scorso, nel contesto di uno dei periodi più duri degli scontri tra indù e musulmani, gli studi di produzione di Mumbai che davano apertamente lavoro ai musulmani ricevevano lettere in cui si minacciavano roghi in caso non fossero licenziati.
Oggi, in molti casi, le minacce avvengono sui social, su cui la destra indiana è particolarmente attiva: non è raro che migliaia di persone chiedano di boicottare un film o una serie perché uno degli attori in passato «ha espresso opinioni poco patriottiche», perché la storia raccontata ha dei personaggi musulmani troppo positivi, o perché qualcuno ci vede una critica al Bjp. In alcuni casi, le accuse arrivano dai membri stessi del partito: un politico di alto livello ha contattato per esempio Amazon Prime per via di una serie di satira politica, lamentandosi dei suoi «dipendenti ideologicamente motivati». Secondo il New Yorker, i produttori hanno vissuto per mesi nella paura di essere arrestati. Nel 2016, in risposta alla notizia che il film Padmaavat, dedicato a una storica regina indù, avrebbe contenuto una scena d’amore tra la protagonista e un sultano, il set del film fu attaccato da un’orda di giovani nazionalisti che picchiarono il regista, distrussero le attrezzature e diedero fuoco a parte del set. Qualche giorno prima, un politico del Bjp aveva annunciato una ricompensa per chiunque avesse decapitato Deepika Padukone, l’attrice che interpretava la regina indù. «A un certo punto ho pensato: basta. Cambio professione. Non posso più fare film», ha commentato il regista aggredito, Sanjay Leela Bhansali.
Il clima di preoccupazione e ansia generato dalle ripetute intimidazioni ha portato all’interruzione di diversi progetti che avrebbero potuto essere percepiti come controversi. L’uscita del film di un regista molto noto, Dibakar Banerjee, sul peggioramento delle condizioni di vita della minoranza musulmana nel Paese, viene posticipata da Netflix da mesi. Un altro regista ha raccontato al New Yorker di aver girato una storia d’amore su una coppia che scappa di casa per stare insieme che nessuno vuole distribuire, perché il ragazzo è musulmano e la ragazza indù. In questo contesto, spiega Subramanian, trovano fortuna «i cineasti che abbracciano generi che corrispondono ai gusti del Bjp: epopee di dubbio valore storico che glorificano i re indù del passato; film d’azione sull’esercito indiano; drammi politici e biopic [i film ispirati alle biografie di persone realmente esistite, N.d.R.], diligentemente distorti. Queste produzioni attingono tutte dalla lista di cattivi del Bjp: governanti musulmani medievali, il Pakistan, terroristi islamisti, intellettuali di sinistra, partiti di opposizione come il Congresso nazionale indiano. Attraverso Bollywood, l’India si racconta storie su sé stessa. Molte di queste storie sono ora completamente diverse, in sintonia con il bigottismo della destra».
Nel 2019, anno a cui risalgono le ultime elezioni, uscirono sia The Accidental Prime Minister, che prendeva in giro il governo di Manmohan Singh, appartenente al partito del Congresso, il principale partito di opposizione indiano, sia un film biografico molto lusinghiero su Modi. Il film che ha avuto maggior successo al botteghino quest’anno è stato invece The Kashmir Files, che distorce un fatto storico – lo sfratto di decine di migliaia di indù dalla valle del Kashmir, a partire dal 1989 – per incolpare il partito del Congresso e gli intellettuali di sinistra dell’epoca di quanto accaduto. In alcuni stati governati dal Bjp, il film è stato esonerato dalle tasse. Un leader del Bjp noto per i tweet in cui incita la gente a sparare ai «nemici della nazione» ha invitato tutti a guardarlo, «in modo che un domani non ci sia bisogno di fare un film sui Bengala Files, i Kerala Files, i Delhi Files».