di Riccardo Luna (repubblica.it, 27 settembre 2022)
Venerdì 23 settembre, ultimo giorno di campagna elettorale, mentre gli altri leader parlavano in qualche piazza fisica, Matteo Salvini ha creato una piazza virtuale unendo in un’unica diretta TikTok, Facebook, Instagram, YouTube e Twitter: Maratona Salvini il titolo dell’evento, scelto perché il comizio digitale è durato addirittura quattro ore. Alla fine gli organizzatori hanno diramato “numeri mai visti”: 3 milioni di interazioni, di cui oltre la metà solo su TikTok, con oltre 220mila spettatori unici. Un successo evidente, che però non si è tradotto in voti per la Lega, ennesima riprova del fatto che i tweet non finiscono nelle urne elettorali, che i follower non sono tutti elettori e che l’engagement non misura il consenso, ma è semmai una misura della capacità d’intrattenimento del pubblico dei social: quanto sei stato capace di farlo divertire, o interessare, o spesso anche arrabbiare.
Se così non fosse, Carlo Calenda, che l’altro giorno ha usato Twitter per dare appuntamento a un tale che lo aveva insultato per regolare la faccenda di persona, avrebbe probabilmente vinto il seggio di Roma Centro, invece di fermarsi a un misero 11%. E Giuseppe Conte, che sui social sembra muoversi meglio degli altri, sarebbe al posto di Giorgia Meloni, in dirittura d’arrivo per tornare a Palazzo Chigi. E la campagna elettorale pallida, a tratti inesistente, del Partito Democratico sui social, dove il leader Enrico Letta è quasi assente, non si è tradotta in un tracollo di voti come i dati dell’engagement lasciavano intendere: chi voleva votare Pd lo ha fatto comunque, lo zoccolo duro non si è lasciato condizionare dalla modestia digitale del partito.
Questo per dire, una volta ancora, che i social non fanno vincere le elezioni, sono soltanto uno strumento, importante, per parlare a una parte del Paese, ma va detto che si tratta di una piccola parte, perché di fatto ogni volta attorno ai messaggi si creano bolle dove il leader si trova a comunicare con due categorie di persone di fatto inutili ai fini del consenso: quelli che lo adorano (e che lo voteranno sempre) e quello che lo detestano, e che mai lo voteranno. Insomma: le elezioni si vincono e si perdono prima e fuori dei social, per la capacità d’interpretare lo spirito del tempo, dando una risposta alla paura (il bisogno di essere protetti) o alla speranza (la voglia di cambiare). Senza speranza, vince sempre la paura. I social non cambiano il senso del messaggio, ma sono come l’eco di una voce che viene da molto più lontano.