La corsa elettorale del treno delle vanità

di Sara Gentile (huffingtonpost.it, 5 settembre 2022)

Il martellare dei telegiornali e dei talk show, innanzitutto, in questi giorni non è informazione, ma piuttosto un guardare dal buco della serratura, una forma di voyeurisme politico che non informa, né agevola la partecipazione dei cittadini alla cosa politica. Il giornalismo, quello televisivo, deve interrogarsi su ciò, e i politici pure. Ritengo che il potere nelle sue prassi e meccanismi abbia necessità di una parte di riservatezza che è propria della sua natura, quella che gli consente di prendere decisioni fuori dal tifo da stadio o dalle imprecazioni degli scontenti. Voglio dire non gli arcana imperii di una volta, la segretezza che permette tutti gli arbitrii, ma il limite di una soglia oltre la quale tutto diventa curiosità gratuita e, inoltre, toglie al potere una delle sue insegne importanti: non essere svenduto alle bancarelle dei media come una storia qualunque.

Ph. Roberto Monaldo / LaPresse

Machiavelli, fondatore di un’analisi moderna della politica, svelò “di che lacrime grondi e di che sangue” il potere, non spettegolando sui tic privati del suo principe, ma indicando gli intrecci, l’agire, le leggi che governano il potere, gli strumenti per acquisirlo e mantenerlo. Le ritualità legate alla rappresentazione della politica e del potere sono state altre nel tempo anche nei sistemi democratici, intendo, soprattutto nei momenti cruciali, nelle scelte difficili. I simboli e i riti che ne conseguono sono alla base della storia umana e non possono essere stracci da piazza, materiale di intrattenimento. La politica, la religione si sono sempre servite di essi sia per dare senso concreto a ciò che è astratto (un’idea, un valore, una visione delle cose) e renderlo quindi a tutti intellegibile, sia per marcarne la presenza in una società, sia per testimoniare una scelta. Così il rito della Messa per i cattolici, la bandiera e l’inno nazionale per uno Stato, le parate militari a ricordare eventi importanti nella storia di un Paese, la celebrazione di vittorie in guerra, di una rivoluzione, la celebrazione del 1° Maggio, la festa del lavoro che ha radici solide e non festaiole, ma di lotta, alla fine dell’Ottocento in Germania, sono riti di identificazione importanti per una comunità.

Anche le elezioni, l’atto del votare, sono un rito. Il deporre la scheda nella segretezza dell’urna e la mobilitazione che l’accompagna scandiscono un momento di “sovranità” del popolo che è chiamato a scegliere chi lo rappresenterà nel Parlamento o in altri organismi elettivi locali. Ma ora si è colmata la misura e in campagna elettorale i retroscena, le risse fra i competitori, le curiosità su riunioni e conciliaboli, le faide fra fazioni in un partito sono diventate il centro, altro che riti! Politici e media sono all’inseguimento del sensazionale; questo ci viene ammannito, laddove invece il tema sono, dovrebbero essere, i problemi di un Paese, i programmi e le proposte per risolverli o attenuarne la gravità, l’assunzione di precise responsabilità che sola può garantire un rapporto di responsabilità/fiducia fra governanti e i governati. Sarebbe come se per la stesura di una Costituzione si cominciasse un racconto pubblico dei travagli, delle mediazioni, contrapposizioni anche aspre che la precedono con l’occhio patologicamente curioso sui protagonisti, sui comprimari, i loro tic, le loro debolezze. Non è mai avvenuto per partorire una buona Costituzione.

Occorre mantenere la distanza necessaria che non falsi la scena e la reale posizione degli attori, del sistema politico e della società, che metta in primo piano i fini, per evitare che si confondano ruoli e funzioni in una melassa che sembra la fiera delle vanità, favorendo così il protagonismo mediatico dei vari leader, capi di partito, ministri, non utile alla costruzione della politica, né al dialogo con i governati. I cittadini vengono presi in una trappola, legati al tubo catodico per lunghe ore e illusi che questo sia partecipare; sono solo invece intruppati dentro un lungo treno, pronti per entrare nella cabina elettorale, ma spesso non consapevoli, non informati su ciò che veramente li riguarda, quindi non capaci di partecipare effettivamente con il voto. La gente alla fine pensa di sapere tutto e non sa nulla, in balìa di vari spettacoli che sovrastano e sostituiscono la realtà: i media fanno cassetta e i politici, tutti, sono ridotti a fatue “celebrity” che cercano di comparire in ogni vetrina come concorrenti a un premio di bellezza. La gente alla fine ha visto un lungo film, ne è uscita stordita o soddisfatta, ridente o turbata, ma il giorno dopo si alza, prepara il caffè, si veste di corsa e ricomincia… stancamente. Stavolta la scena è quella vera, pesante e nuda.

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