di Pietro Cabrio (ilpost.it, 25 agosto 2022)
Oltre un secolo fa, ben prima del turismo di massa e dello spopolamento di Venezia, le isole della Laguna erano frequentate da pochi e privilegiati viaggiatori stranieri, perlopiù russi, europei e nordamericani. A cavallo tra l’Otto e il Novecento, Venezia continuava a esercitare un grande fascino all’estero e su un certo turismo d’élite, ma era anche caduta in uno stato di decadimento che nel 1902 portò al crollo del campanile di San Marco, sbriciolatosi su sé stesso in un giorno di luglio dopo decenni d’incuria. L’evento fu significativo e risvegliò la città dal suo lungo torpore, almeno fino alla Seconda guerra mondiale. Già da fine Ottocento, l’aristocrazia locale rifletteva su come rinnovare la sua immagine e ridare slancio a una città che sembrava averne esauriti. Non a caso nel 1895 un gruppo di intellettuali sostenuto dai sindaci di quel decennio, Riccardo Selvatico e Filippo Grimani, aveva inaugurato ai Giardini di Castello «una serie biennale di esposizioni artistiche, in parte libere, in parte su inviti» che oggi conosciamo comunemente come la Biennale, una delle più importanti e longeve esposizioni d’arte contemporanea al mondo, la più grande in Italia.
Nel corso degli anni la Biennale, nome che in realtà indica l’intera Fondazione culturale, divenne sempre più solida e iniziò a riunire sotto di sé varie attività. Nel 1932 alle arti figurative classiche venne aggiunto il cinema e proprio quell’anno Venezia ospitò al Lido — la striscia di terra che separa la Laguna dall’Adriatico — la prima edizione di quello che oggi, a pochi giorni dalla sua 79ª edizione, è il primo e più antico festival cinematografico al mondo. La sua istituzione viene accreditata in particolare a una persona, il conte Giuseppe Volpi di Misurata, al quale oggi sono dedicate le coppe date in premio dalla giuria ai migliori attori in concorso. Volpi era stato nominato presidente della Biennale nel 1930. Era una delle personalità politiche e imprenditoriali più influenti dell’epoca, non solo per Venezia. Nel corso della sua vita fu molte cose, e ancora oggi è ricordato tra chiari e scuri. Fu governatore della Tripolitania, senatore del Regno d’Italia, secondo ministro della Finanze del regime fascista, presidente di Confindustria e del gruppo assicurativo Generali.
In precedenza, ai primi del Novecento, era stato il principale promotore della realizzazione del Petrolchimico di Porto Marghera, l’enorme polo industriale che a metà del secolo sostenne il boom economico italiano, ma che successivamente sviluppò al suo interno grosse questioni ambientali e soprattutto sociali, con centinaia di morti tra gli operai esposti incautamente a sostanze allora poco conosciute. Volpi fu anche fondatore della Sade, una delle più grosse compagnie energetiche italiane dell’epoca, che diede un contributo decisivo all’elettrificazione del Paese. Da presidente della società, Volpi seguì e approvò nei suoi ultimi anni di vita la realizzazione della diga del Vajont nonostante i pareri negativi di tecnici ed esperti, come accertato dopo il disastro che nel 1963 provocò quasi duemila morti e la totale distruzione di decine di centri abitati del bellunese.
Negli anni Trenta, all’apice della sua influenza, Volpi fece coincidere ancora una volta intuizioni e interessi personali nell’istituzione della Mostra internazionale del Cinema. All’epoca era tra i maggiori azionisti della Compagnia Italiana Grandi Alberghi (Ciga), che agli inizi del Novecento aveva iniziato la conversione a meta turistica esclusiva del Lido, un modesto centro abitato che fin lì era servito perlopiù come barriera naturale a protezione di Venezia. Tra le proprietà del gruppo era compreso l’Hotel Excelsior, progettato a inizio Novecento per essere una delle strutture alberghiere più moderne ed eleganti al mondo. E sulle terrazze vista mare dell’Excelsior, dal 6 al 21 agosto 1932, si tenne la prima edizione della Mostra del cinema. La rassegna fu istituita per riunire nello stesso luogo e in un’unica manifestazione un evento mondano e un’attrazione turistica con scopi promozionali, artistici e industriali, come scrisse quell’anno la Gazzetta di Venezia, giornale locale di proprietà di Volpi. «Questa manifestazione è la prima del genere in tutto il mondo. Non è una mostra di materiali, ma una presentazione di pellicole, in edizione integrale, senza riduzioni dovute alla censura, doppiazioni di voci o rifacimenti. Lo scopo principale di questo festival internazionale è di fornire al pubblico una idea esatta dei livelli artistici ottenuti dalle produzioni delle case editrici».
Queste intenzioni animano ancora oggi la Mostra del cinema di Venezia, anche se nel corso degli anni alcune sono state disattese. La prima edizione cadde nel decennale della Marcia su Roma e della salita al potere di Benito Mussolini. Il regime fascista, in un primo momento rimasto volutamente estraneo all’evento, visti i successi ottenuti ci si avvicinò sempre di più, fino ad assumerne il controllo nel 1935. Inizialmente mantenne l’apertura ai mercati internazionali, dalle produzioni americane fino a quelle sovietiche, la caratteristica che aveva fatto la fortuna del festival. Col tempo però si orientò progressivamente verso una manifestazione di carattere nazionalista, ospitando tra le altre cose rassegne italo-tedesche alla presenza di Joseph Goebbels, ministro della Propaganda della Germania nazista. Sotto il regime la Mostra divenne annuale e incluse tra i premi la Coppa Mussolini al miglior film, che nel 1938 fu assegnata a Leni Riefenstahl, la regista del regime nazista. Si proseguì così fino al 1942, anno dell’ultima edizione prima della sospensione per la guerra.
La Mostra riprese nel 1946, e cercò subito di allontanarsi dal suo passato. Premiò L’uomo del Sud di Jean Renoir, i film sulla Resistenza italiana Il sole sorge ancora e Paisà, di Aldo Vergano e Roberto Rossellini, e Anche i boia muoiono di Fritz Lang, unico film di produzione americana a cui lavorò il poeta e drammaturgo tedesco Bertolt Brecht. Nello stesso anno a Cannes, in Francia, si tenne la prima edizione di un nuovo festival cinematografico, già ideato negli anni Trenta proprio come risposta alle ingerenze fasciste alla Mostra di Venezia, ma rinviato fino al 1946 a causa degli eventi bellici. Nonostante gli organizzatori italiani avessero subito intrapreso un percorso di rottura con il passato fascista della rassegna, quei legami vennero riportati alla luce dal successo del Festival di Cannes, e con i grandi cambiamenti degli anni successivi rischiarono di concludere definitivamente la storia decennale della Mostra.
Nel dopoguerra la rassegna veneziana riuscì a mantenere la sua centralità nel settore cinematografico e, anzi, passò probabilmente il suo periodo di massimo splendore, attirando al Lido le più grandi personalità dell’epoca. Ma negli anni Sessanta, con l’avvicinarsi delle contestazioni studentesche e operaie, le critiche al suo statuto di epoca fascista – rimasto inalterato – si fecero sempre più insistenti, fino all’edizione del 1968. Quell’anno l’associazione cinematografa italiana, l’Anac, ritirò i suoi film in segno di contestazione, con numerosi registi e attori in prima fila, e altri invece contrari, tra i quali Bernardo Bertolucci, Roberto Rossellini e Pier Paolo Pasolini. L’apertura fu segnata da manifestazioni e scontri con la polizia all’esterno del Palazzo del Cinema, che ne causarono il rinvio di due giorni. La Mostra fu poi autogestita dai cinematografi italiani con la direzione del teorico del cinema Luigi Chiarini; ma questo non servì a placare le manifestazioni, che continuarono fino alla giornata conclusiva.
Come effetti di quella edizione la Mostra divenne non competitiva, cioè smise di assegnare premi fino al 1980. Nel 1973, 1977 e 1978 non venne nemmeno organizzata. Dopo la riforma dello statuto, il rilancio fu tentato a partire dal 1979, con la direzione affidata al regista Carlo Lizzani e la collaborazione del critico Enzo Ungari, che la rimisero in piedi riorganizzandola seguendo le nuove tendenze del cinema internazionale, a partire dalle proposte del rinnovato cinema tedesco e dall’affermazione di nuovi registi italiani. Il nuovo corso portò a una maggior internazionalizzazione del festival, che dagli anni Novanta iniziò ad affidarsi con molta più frequenza a presidenti di giuria stranieri, come Gore Vidal, David Lynch, Roman Polanski, Miloš Forman e Jane Campion. Nel frattempo la Biennale venne fatta diventare una Fondazione di diritto privato e nel 1998 iniziò la presidenza di Paolo Baratta, manager di lunga esperienza, più volte ministro in governi tecnici che ha concluso il suo incarico nel 2020 con la nomina di Roberto Cicutto, l’attuale presidente. Dal 2011 il direttore della Mostra è invece Alberto Barbera, ex direttore del Museo nazionale del cinema di Torino.
In questi ultimi decenni la Mostra ha dovuto gestire soprattutto un lungo e complicato processo di rinnovamento alle sue strutture e agli spazi del Lido, segnato in particolare dalla mancata realizzazione di un nuovo Palazzo del Cinema. Tra passaggi burocratici e mancate intese, il progetto si bloccò definitivamente nel 2011 dopo la scoperta di una vera e propria discarica di amianto nel sottosuolo del litorale, motivo per cui la Mostra si svolse attorno a un cantiere fino al 2016. Dal lato artistico e promozionale, tuttavia, la rassegna ha riguadagnato una sua importanza nell’industria cinematografica, distinguendosi tra le altre cose per aver anticipato fin dai primi anni Duemila la nuova ondata di successi del cinema asiatico. Nell’anno della 79ª edizione, la storia della Mostra è stata ricostruita per la prima volta in modo completo dallo storico del cinema Gian Piero Brunetta in un volume edito in collaborazione con la Biennale e la casa editrice veneziana Marsilio.