Perché in Italia non ci sono spot elettorali in tv

(ilpost.it, 18 agosto 2022)

A differenza degli Stati Uniti e di alcuni Paesi europei, dove sono piuttosto diffusi, in Italia è vietato trasmettere spot elettorali sulle tv nazionali. Per i partiti e i comunicatori politici è un limite molto sentito: ancora oggi la televisione è il medium più seguito dagli elettori più anziani, che fra le altre cose sono quelli che si presentano ai seggi con più assiduità rispetto ai giovani. Non è sempre stato così. La diffusione di spot elettorali sulle tv nazionali è stata fortemente limitata nel 1996 e poi vietata del tutto nel 2000 con la legge sulla cosiddetta par condicio. La legge, ancora in vigore, prevede solamente che in campagna elettorale la Rai metta a disposizione dei “contenitori” in cui i partiti possano trasmettere gratis dei “messaggi politici autogestiti”: ma sono spazi che per legge non possono essere trasmessi dalle 20 alle 22, quando davanti alla tv si concentra il maggior numero degli spettatori, e che vengono assegnati fra tutti i partiti con criteri molto rigidi, cosa che li rende di fatto inutili.

L’esperto di Comunicazione politica Dino Amenduni ricorda che la legge sulla par condicio «fu varata nel 2000 dall’allora governo di centrosinistra guidato da Massimo D’Alema per contenere l’indebito vantaggio che Silvio Berlusconi, contemporaneamente politico ed editore, avrebbe potuto ottenere dalla liberalizzazione di questo genere di azioni di propaganda politica». In sostanza, fu approvata per evitare che Berlusconi inondasse le reti Mediaset di spot elettorali a tutte le ore. Un’esigenza ancora attuale, dato che Berlusconi è uno dei principali leader che si candideranno alle elezioni politiche del prossimo 25 settembre.

In Italia i primi spot elettorali comparvero fra gli anni Sessanta e Settanta: venivano proiettati al cinema e spesso avevano come protagonisti personaggi famosi. Nel 1974, in occasione del referendum abrogativo sul divorzio, il celebre cantante Gianni Morandi e sua moglie Laura Efrikian furono coinvolti dalla campagna del No e registrarono un lungo spot a favore del divorzio, introdotto soltanto quattro anni prima con una legge apposita. Secondo il sito Archivio Spot Politici, curato dall’Università Roma Tre, le prime vere elezioni in cui gli spot elettorali diventarono pervasivi, anche grazie alla diffusione capillare della televisione e alla nascita delle emittenti private, furono quelle del 1983. «Sono gli anni d’oro dello spot politico, spesso realizzato dalle grandi agenzie pubblicitarie sul modello di quelli commerciali e trasmesso sulle emittenti commerciali senza alcun vincolo se non quello dei costi», si legge nel sito. In occasione delle elezioni politiche del 1983 il Partito Socialista Democratico Italiano (Psdi) si inventò una serie animata con un gatto muratore di nome Gigi, la Democrazia Cristiana spot essenziali incentrati su oggetti di uso quotidiano – una candela, una brocca di latte, una corda – e il Partito Socialista puntò invece sui propri elettori famosi.

Il 1994, l’ultima elezione in cui circolarono moltissimi spot elettorali, fu invece dominato dall’entrata in politica di Berlusconi. Il suo spot più famoso è probabilmente quello in cui invoca «un nuovo miracolo italiano»: «scende in campo l’Italia che lavora, contro quella che chiacchiera. L’Italia che produce, contro quella che spreca. L’Italia che risparmia, contro quella che ruba. L’Italia della gente contro quella dei vecchi partiti». Da allora in Italia gli spot televisivi sono praticamente scomparsi. In altri Paesi europei invece sono sopravvissuti, anche se non sono mai stati diffusissimi come negli Stati Uniti, dove sono un pezzo fondamentale delle campagne elettorali. In Germania per esempio sono permessi, sebbene con alcune limitazioni: in occasione delle elezioni federali del 2013 lo spot della Cdu, il partito di Angela Merkel, mostrava semplicemente un breve discorso dell’allora cancelliera seduta su un divano. Il progressivo spostamento della campagna elettorale su Internet avrebbe potuto dare un nuovo impulso agli spot elettorali, che però per qualche ragione – forse legata anche agli alti costi di produzione rispetto a un normale video – non sono più tornati così in voga.

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