di Federica Mochi (adnkronos.com, 4 agosto 2022)
Orsi, tigri, api e persino cavallette: il linguaggio politico sta trasformando le prossime elezioni politiche del 2022, in programma il 25 settembre, in un pazzo giardino zoologico. Arma prediletta per la campagna elettorale, i leader di partito sono protagonisti, ciascuno a modo suo, del bestiario fantastico dell’estate, dove nuove metafore zoologiche fioriscono di giorno in giorno. Che sia per sminuire l’avversario, lanciare frecciatine all’alleato o ricompattare la propria squadra, i leader non si trattengono, tirando fendenti appena possono. «Questo linguaggio è un fenomeno che trova la sua legittimazione nel passato e che è molto sedimentato nel discorso pubblico quando si nutre di contenuti politici» spiega all’AdnKronos Francesco Giorgino.
Giornalista, Professor of Practice presso la Luiss School of Government e direttore del master Luiss in Comunicazione e Marketing politico ed istituzionale, Giorgino ricorda come il linguaggio “animalista” non sia nuovo nella politica: «Penso alla celebre frase di Aristotele che considera l’uomo un animale politico o a Niccolò Machiavelli che ha fatto spesso riferimento nella sua letteratura al trittico “uomo-volpe-leone”, fino al Leviatano di Hobbes. Nella Prima Repubblica la Democrazia Cristiana veniva indicata nel discorso pubblico come “Balena bianca”, termine poi sdoganato, mentre nelle correnti più importanti della Dc erano tutti rappresentati con il termine “cavallo di razza”». Complice anche il discorso giornalistico, fa notare Giorgino, nel recente passato l’uso di termini come “porcellum” o “super canguro” (quest’ultimo usato per far riferimento alla prassi parlamentare che consente di votare gli emendamenti accorpando quelli in tutto simili e quelli di contenuto analogo per evitare ostruzionismo), è stato spesso incoraggiato.
L’ultima “bestia” evocata, in ordine di tempo, è l’ape, usata dal segretario di Azione, Carlo Calenda, per “pungere” il ministro degli Esteri, Luigi Di Maio, che come simbolo del progetto politico con Bruno Tabacci ha scelto un’ape. «Di Maio sarà candidato nelle liste del Pd e dovrà rinunciare alla sua Ape Maia o come si chiama» ha detto Calenda, facendo il verso al celebre cartone animato. Come il segretario di Azione, anche la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, è ricorsa a un insetto, la cavalletta, simbolo per eccellenza della sciagura. «Il racconto delle elezioni come cavallette» ha sottolineato in un’intervista la leader di Fdi «non lo condivido». E mentre il segretario dem, Enrico Letta, ha citato gli “occhi della tigre” di Rocky e la “pelle dell’orso” che il centrodestra si sarebbe venduta, a suo dire, “troppo presto”, i politici non sono nuovi a figure zoologiche.
«Il ricorso al lessico “animalista”» chiosa Giorgino «è abbastanza frequente ed è motivato da tre ragioni. La prima è l’esigenza impellente, da parte della politica, soprattutto in questo particolare frangente storico, di semplificare al massimo il proprio linguaggio. Alla base c’è una logica evocativa, tipica dell’uso della metafora. La seconda ragione è introdurre sempre il codice del politainment, cioè l’uso del codice dell’intrattenimento nell’ambito politico. Infine, la terza esigenza è trovare soluzioni compatibili con l’obiettivo della sollecitazione dell’immaginario pubblico. Gli animali sono elementi, dal punto di vista narrativo e semiotico, in grado di sollecitare l’immaginario collettivo».
Per questo, osserva ancora Giorgino, «in diverse latitudini e contesti istituzionali i politici fanno ricorso a figure retoriche, costruite, il più delle volte, attorno alla centralità degli animali. L’ape nel logo del progetto politico di Di Maio, evidenzia Giorgino, «è il simbolo della sensibilità ecologista e anche un meta-messaggio molto ambizioso: se scompare l’ape l’ecosistema non funziona, che vuol dire “se non ci siamo noi non c’è continuità rispetto al passato”. Al tempo stesso, è una scelta che si presta molto all’ironia. Sull’ape di Di Maio si è innescata una dimensione ironica e anche satirica», che ha portato a giochi di parole come “Ape Maio” o “Ape Maia”.
Le cavallette evocate da Giorgia Meloni, invece, «sono usate per indicare una sciagura» sottolinea Giorgino; «lei ha voluto sottolineare la circostanza che, per una parte del sistema politico italiano, il voto, che è un diritto costituzionale, viene vissuto come una grande sciagura politica». Se è vero che negli anni passati i 5 Stelle hanno fatto poco ricorso a linguaggi da “fattoria degli animali”, ad eccezione del “panda che mangia carne cruda” tirato in ballo da Beppe Grillo, l’ex deputato grillino Alessandro Di Battista non ha mai esitato a chiamare “Caimano” Silvio Berlusconi, usando lo stesso soprannome che Nanni Moretti aveva affibbiato all’ex premier nell’omonimo film.
Il numero uno della Lega, Matteo Salvini, invece, ha spesso evocato “gufi e sciacalli” tirando in ballo un altro animale “caro” al leader di Italia Viva, Matteo Renzi, che di gufi ne ha citati molti per attaccare i suoi avversari più critici, tra cui qualche ex collega del Pd. E se Berlusconi ha rispolverato lo scoiattolo come animale capace di scovare le noci nascoste – ossia, nel caso della sua “operazione scoiattolo”, i parlamentari grillini che avrebbero potuto formare un gruppo parlamentare autonomo che togliesse il proprio appoggio al primo governo Conte tra il 2018 e il 2019 –, è Pierluigi Bersani ad aver portato in auge varie figure del mondo animale come “il giaguaro da smacchiare”, “la mucca nel corridoio”, ma anche tori, tacchini e passerotti.
Nel fantastico zoo della politica non vanno dimenticati gli esseri umani trasfigurati in animali. Come Giulio Andreotti, che Bettino Craxi chiamava “vecchia volpe”, o lo stesso segretario del Psi, soprannominato “cinghialone” dai detrattori. C’è infine chi scelto un animale come simbolo della propria battaglia: le Sardine. Convocate nel 2019 in Piazza Maggiore a Bologna per protestare contro il leader leghista, Matteo Salvini, che in città stava lanciando la campagna elettorale della Lega in vista delle elezioni regionali in Emilia Romagna: il movimento nacque dall’iniziativa di quattro ragazzi bolognesi, tra cui Mattia Santori. Sardina perché riempire una piazza avrebbe significato stare stretti come sardine in scatola.