L’infowar di Putin

di Maurizio Stefanini (linkiesta.it, 10 giugno 2022)

La guerra guerreggiata all’Ucraina è stata preceduta ed è accompagnata da una guerra cognitiva. Una “infowar” che la Russia ha combattuto contro l’Occidente, e di cui è stata obiettivo anche l’Italia. Divampano ora le polemiche sui simpatizzanti o propagandisti di Putin, e sul fatto se sia o no legittimo fare “liste di proscrizione”, ma – ad esempio – fu la Polizia Postale ad accertare che la notte tra il 27 e il 28 maggio 2018 si erano attivati all’improvviso quattrocento profili Twitter, fino ad allora dormienti, per scatenare, con centinaia di messaggi di insulti, richieste di impeachment del presidente Mattarella. E il tutto era stato ricondotto alla cosiddetta “Fabbrica di Troll”: quella Internet Research Agency, con sede al numero 55 di Via Savushkina a San Pietroburgo, che impiega decine di persone per immettere contenuti sui social 24 ore su 24, e il cui patron è Evgeny Prigozhin, l’oligarca famoso come “cuoco di Putin”.

Israel Palacio / Unsplash

Ma Prigozhin è anche il finanziatore della Wagner: la compagnia di ventura utilizzata da Putin per agire sul piano militare quando la Russia non voleva comparire in prima persona. E, più di recente, una quantità di infrastrutture e istituzioni italiane sono state colpite anche dagli hacker di Killnet: altra compagnia di ventura, ma formata da pirati informatici. Hacker, troll e Wagner sono tre volti di una guerra ibrida che ha fatto disastri negli stessi Stati Uniti: dall’azione di disturbo delle elezioni e in favore di Trump, a quegli attacchi a SolarWinds e a Colonial Pipeline che nel 2021 hanno rischiato di bloccare l’economia americana. Accanto a Internet Research Agency, Killnet e Wagner, le Forze Armate regolari russe hanno ora aperto un quarto fronte. E sugli altri si continua a combattere.

Per indagare su questi aspetti l’Istituto Gino Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici ha organizzato un corso di alta formazione. È la stessa entità che iniziò a indagare sulla penetrazione del putinismo in Italia molto tempo prima che la gravità del fenomeno venisse percepita. Attacco alla mente: strategie e tecniche di disinformazione e guerra cognitiva. Una nuova sfida per l’intelligence italiana è il tema del corso in agenda oggi, domani, il 17 e il 18 presso la Società Geografica Italiana. In preparazione ci sono stati due convegni. Uno il 17 maggio, all’Istituto Sturzo, dedicato proprio all’attore: Dezinformacija: la strategia russa di disinformazione e guerra cognitiva in Italia. L’altro, che si è tenuto l’8 giugno come webinar, rivolto invece soprattutto allo strumento: La disinformazione come arma dei movimenti estremisti ed eversivi italiani: una minaccia alla sicurezza nazionale.

Direttore dell’Istituto Germani di Scienze Sociali e Studi Strategici, russologo ed esperto in particolare di disinformazione, attività di influenza e destabilizzazione, Luigi Sergio Germani ha ricordato come Internet e social media abbiano determinato un crescente potenziamento degli strumenti di manipolazione di massa attraverso la disinformazione e la propaganda, a disposizione sia di Stati esteri che mirino a destabilizzare le democrazie per motivi geopolitici sia di movimenti estremistici ed eversivi. Dal punto di vista ideologico, le matrici dei movimenti estremisti italiani possono essere molteplici: anarco-insurrezionalista, marxista-leninista, antagonista, rosso-bruna, di estrema destra. Ma negli ultimi anni a suscitare più preoccupazione, tra gli analisti di intelligence dei Paesi occidentali, è stata soprattutto l’estrema destra. Da una parte, questo mondo si è avvalso di una massiccia diffusione di narrazioni complottiste derivanti dall’Alt-Right Usa, come la tesi delle élite globaliste segrete che eserciterebbero il vero governo mondiale occulto, e il cui obiettivo centrale sarebbe la sostituzione etnica dei bianchi con gente proveniente dall’Africa e dal Medio Oriente, preferibilmente islamica. Dall’altra, in questo tipo di immaginario, hanno però sguazzato anche i troll di Putin, che però in qualche modo ereditavano anche una tradizione sovietica. Da qui quel tipo di contaminazione tra immaginario fascista e comunista che è stata definita «rosso-bruna».

Dirigente Superiore della Polizia di Stato, Responsabile del Servizio per il Contrasto all’Estremismo e al Terrorismo Interno presso la Direzione Centrale della Polizia di Prevenzione, Eugenio Spina ha confermato come in questo momento il timore maggiore sia per l’estrema destra, che si aggrega via Internet. «I gruppi della destra radicale hanno mutato pelle. Hanno cambiato modo di fare comunicazione e propaganda, soprattutto negli ultimissimi anni». Nella sua analisi, in questo momento l’area gode «di una nuova primavera» per una quantità di fattori: «la crescita esponenziale dei flussi migratori, una ondata di nazionalismo che proviene soprattutto dai Paesi dell’Europa dell’Est e, non ultima, la strumentalizzazione delle restrizioni che sono state introdotte da vari Stati per il controllo alla pandemia». E poi «la propaganda sul web ha avuto una impennata soprattutto dopo la strage dell’aprile 2019 in Nuova Zelanda». L’australiano Brenton Tarrant prima di attaccare due moschee si era “formato” a livello politico proprio sul web, dove aveva diffuso il documento The great replacement. Si sarebbe convinto ad agire dopo aver fatto un viaggio in Europa, e sia nel caricatore sia nello scritto aveva citato Luca Traini: autore della tentata strage di Macerata, e a sua volta radicalizzatosi sul web.

Spiega Spina: «A quel punto la Polizia italiana ha avviato un costante monitoraggio sul web, che ha permesso nel 2019 di individuare un documento ispirato a Tarrant. L’elaborato era scritto in maniera molto buona: nessuno di noi avrebbe pensato che dietro potesse esserci un ragazzino di 16 anni che a un certo punto aveva smesso di andare a scuola! Lo abbiamo affidato ai servizi sociali per una attività di deradicalizzazione ancora in atto. Aveva manuali per l’assemblaggio di ordigni artigianali, e un diario in cui manifestava l’intenzione di farsi esplodere in una piazza cittadina». Testimonia sempre Spina che «dopo la pandemia, e soprattutto dal luglio 2021 in poi con l’introduzione del green pass, da parte di Forza Nuova c’è stato un continuo tentativo di infiltrarsi nelle manifestazioni indette dai vari gruppi no vax, no greenpass e quant’altro».

Ufficiale Medico Psichiatra esperto in tecniche Humint e sicurezza, Marco Cannavicci spiega che fare disinformazione oggi è facile «perché si incontrano due condizioni molto facilitanti. Una è la presenza di una comunicazione libera, aperta, accessibile a tutti, non controllata, che è quella del web e dei social media. Ciò ha dato voce a una quantità di gente che in passato non avrebbe avuto accesso ad alcun canale comunicativo». Ma «a questa libertà di comunicare si unisce una sempre maggior conoscenza sui meccanismi del come si formano le idee. Lo sviluppo delle neuroscienze ha permesso oggi di affinare i meccanismi di condizionamento dei pensieri, di disinformazione, di manipolazione sistematica dell’informazione e del pensiero in un modo che una volta non sarebbe stato possibile». Per cui «la disinformazione oggi viene messa in piazza con mezzi tecnologici moderni, anche se si tratta di un’arte militare molto antica». Ne dà fede Sun Tzu, quando diceva che la migliore vittoria è quella che si ottiene non combattendo ma ingannando e utilizzando stratagemmi. «Quella che oggi viene chiamata “guerra cognitiva”». Il fine è «condizionare l’opinione, il pensiero, il comportamento, le scelte delle persone. E lo si fa con modalità di attacco, però, non dichiarato o aperto. Una guerra sì, ma nascosta, che ottiene risultati perché riesce a realizzare dal nulla una rappresentazione precisa e voluta nella mente della persona. Non è mirata a qualcuno in particolare, ma a chiunque si dimostri sensibile a questo tipo di segnale».

«La mente è stata campo di battaglia da sempre, ma adesso è diventata il campo di battaglia elettivo del XXI secolo». Il motivo è che «mai come oggi c’è stata una tale massa di informazioni che raggiungono le persone. Siamo sommersi da canali che di continuo ci danno notizie e ci aggiornano queste notizie in tempi particolarmente ravvicinati. Ma l’elaborazione dell’informazione da parte della mente ha dei limiti. Quando la si sommerge di informazioni, la mente smette in qualche modo di ragionare, non valuta più in modo critico, ma si attivano le cosiddette euristiche evolutive. Modi veloci di pensare che 300mila anni fa circa il cervello umano ha elaborato nel momento in cui siamo passati da raccoglitori a cacciatori, in un ambiente ostile e pericoloso in cui le reazioni al rischio di un predatore dovevano essere rapide. Allora, queste scorciatoie del pensiero servivano. Ad esempio, scattare immediatamente a un rumore. Ma oggi sono diventate distorsioni del pensiero: bias cognitivi che ci ingannano, spesso non ci fanno capire che tipo di informazioni abbiamo; e spesso ci ingannano anche sul tipo di risposta più idonea di fronte a queste informazioni. Dalle neuroscienze sappiamo che il cervello non riesce a comprendere in modo autonomo se un’informazione è vera o è falsa. Lo capiamo attraverso il contesto: come ci viene presentata l’informazione. Il tono di voce, la gestualità, la presenza ci comunicano se l’informazione può essere considerata vera o no. Se dunque si forniscono prove anche false, il cervello tende ad avvalorare l’informazione. E se ci unisce qualcosa in cui io già credo, ecco che il bias si conferma».

Sarebbe questo il motivo per cui «certi cantastorie riescono a ottenere il successo che ottengono». Sostanzialmente, bisogna dire alla gente quel che la gente vuol sentirsi dire. «Se in più l’informazione mi dà qualcosa di piacevole e simpatico e di orrendo e tragico, quella informazione mi tocca in modo ancora più profondo. Per cui se io a un’informazione oggettiva unisco anche delle suggestioni emotive, ecco che quella informazione va a costruirsi in modo ancora più radicato e forte nella mente di una persona». È questo il trucco chiave della disinformazione. «Quando io ottengo una notizia emotigena, quella notizia non la tengo per me, la devo condividere. Per cui se riesco a suscitare un’emozione in questa persona diventa una cassa di risonanza. La condivide. La rende, come si dice oggi, virale». A parte l’eccesso di informazioni, a favorire ciò è anche l’abitudine a fare più cose contemporaneamente. «Il multitasking aumenta la disattenzione, e porta ad agire in automatico». Una situazione «tanto più diffusa tra i giovani, e nel mondo occidentale».

Professore ordinario di Sociologia all’Università Cattolica del Sacro Cuore, e coordinatore di Itstime – Italian Team for Security Terroristic Issues, Marco Lombardi conferma che «viviamo ormai da anni in un contesto di disinformazione più che di informazione. Per anni ci si è rifiutati di ammettere che c’era una guerra ibrida in corso. Avrebbe significato ammettere che c’era una terza guerra mondale in corso, e una cosa del genere era politicamente insostenibile. Ma ormai siamo passati dalla guerra ibrida alla guerra cognitiva, e con 20 euro di biglietto e 12 ore di viaggio si va direttamente a vedere la guerra in diretta in Ucraina. Le cose non si sono semplificate, ma complicate. Il Covid-19 è stato un booster che ha accelerato processi in corso, con manifestazioni di violenza che andavano avanti da anni in varie parti del mondo: Hong Kong e Santiago, Francia e Spagna». Pandemia e conflitto assieme aumentano il clima di crisi, la crisi porta a una richiesta di sicurezza e di informazione, «ma il surplus di informazione senza certezza aumenta il clima da infowar. La gente ha rinunciato a cercare la verità perché trova che è troppo difficile, e si affida al brand». Si è osservato che essenza delle campagne dei troll putiniani è diffondere una quantità di informazioni anche in contraddizione tra di loro, pur di seminare confusione. «Nell’infowar il primo modo per diffondere fake news è convincere la gente che è vittima di fake news». Il complottismo è appunto tipico dei momenti di caos, perché dà un minimo di logica a una realtà altrimenti incomprensibile.

Il modo in cui i meccanismi dei social sono utilizzati dai gruppi estremisti è stato spiegato anche da Alfredo Vinella, amministratore unico di Scenarya. Come ha ricordato, gli studi del Censis nel 2013 descrivano un utente della Rete che sembrava aver ormai superato ogni dimensione gerarchica. Si spostava da solo, costruiva i propri palinsesti, scopriva le informazioni tramite le proprie connessioni sociali. Dieci anni dopo impera invece l’algoritmo, che regola i social media nell’interesse di aziende tecnologiche che hanno interesse a raccogliere dati e aumentare l’uso della propria piattaforma. Filtrando i dati e raccomandando azioni agli utenti: sembra comodo, perché libera dalla fatica di ricercare e fa risparmiare tempo. Ma in realtà contribuisce, a sua volta, a creare il clima in cui la disinformazione sguazza.

Cannavicci ha spiegato inoltre che i russi per preparare la loro infowar hanno elaborato apposta una teoria del Controllo Riflessivo opposta alla Teoria dei Giochi Usa al Controllo Riflessivo russo. «La teoria dei giochi ti dà uno scenario di tutte le possibili situazioni che si possono venire a creare, per prevedere gli sviluppi. Il controllo riflessivo mira invece a determinarli gli sviluppi, secondo l’elaborazione di Vladimir Lefebvre». Si può fare a livello di singole persone, ma funziona ancora meglio a livello di massa, con una serie di tecniche. Distrarre la mente dell’avversario su temi non di interesse. Dare molte informazioni in contraddizione, in modo da affaticare e far agire in automatico. Ripetere una falsità più volte, fino a farla percepire come vera. Alla fine, l’obiettivo è far fare all’avversario ciò che si vuole. «Provocare in lui la reazione che, conoscendo la sua psicologia, possiamo con buona probabilità anticipare che si comporterà in quel modo. Quindi quando si riscontra un punto debole, un punto di fragilità, un punto dove l’emotività del soggetto prevale sulla ragione, noi stimoliamo quel punto e otteniamo come riflesso condizionato quella risposta».

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