Lo scontro tra Russia e Ucraina all’Eurovision ha una lunga storia

di Mariarosa Maioli (ilfoglio.it, 12 maggio 2022)

Il regolamento parla chiaro: «Non sono ammessi testi con contenuti politici, pubblicitari, confessionali o offensivi». Eppure, ogni volta in cui l’Ucraina ha simbolicamente messo piede sul palco, la sua corsa alla vittoria è passata anche attraverso gesti e parole fortemente politicizzati, la cui caratteristica comune è sempre stata la stessa: indirizzare un messaggio contro l’ingerenza russa. La situazione geopolitica di oggi è sicuramente la più drammatica degli ultimi anni: sul palco non solo gli ucraini hanno portato un testo eloquente, ma anche l’assenza del Paese di Putin parla chiaro. «La partecipazione all’Eurovision di quest’anno della Russia, Stato aggressore in violazione del Diritto Internazionale, minerebbe l’idea stessa della competizione», ha dichiarato l’Ebu (European Broadcasting Union) al momento dell’esclusione russa.

Ph. Martin Meissner / Ansa – Ap

La band ucraina in gara per questa edizione [Kalush Orchestra – N.d.C.], con la hit Stefania, è già considerata sul podio dai bookmaker. Il testo è scritto dal frontman, Oleh Psiuk, ed è dedicato a sua madre, ma il senso del pezzo ha una lettura più profonda: Stefania non è solo la madre di Oleh, ma incarna anche la terra madre del cantante: “Troverò sempre la strada di casa, anche se tutte le strade sono distrutte”, è uno dei versi. Nel 2019 aveva fatto discutere la decisione della cantautrice Maruv, che aveva rifiutato di portare la sua Siren Song alla competizione europea. Marvu avrebbe dovuto tenere alcuni concerti in tournée in Russia e la cosa non fu digerita dall’allora vice primo ministro ucraino Vyacheslav Kyrylenko, che accusò l’artista (ancora bruciava l’annessione della Crimea nel 2014). A Maruv fu proposto di cantare all’Eurovision a patto di annullare tutti i concerti in Russia, ma lei rifiutò.

Nel 2017 l’Ucraina ospitò il contest. Quell’anno la Russia avrebbe dovuto presentarsi con Julija Samojlova, colpevole però di aver tenuto un concerto in Crimea, un anno dopo l’annessione della penisola alla Russia. Anche in questo caso la politica fu il motivo del dibattito e la ragione dell’esclusione effettiva della Russia dal concorso: nel 2016, l’anno che vide l’Ucraina vittoriosa con 1944, fu la Russia ad appellarsi all’Ebu poiché il testo della canzone ucraina conteneva un’allegoria dell’invasione di Putin alla Crimea. La protesta non fu accolta, poiché – si disse – la cantante Jamala faceva riferimento a “eventi storici”: non solo Jamala portò a casa la vittoria ma sbaragliò la concorrenza russa, al terzo gradino del podio. Nel 2014, anno dell’annessione illegale della Crimea alla Federazione Russa, gli spettatori non mancarono di fischiare le Sorelle Tolmachevy, esprimendo tutto il dissenso alla politica messa in atto dal leader del Cremlino. E ancora, nel 2007, l’Ucraina arrivò seconda con un testo che diceva “Russia Goodbye”.

Ma fu nel 2005 che anche il palco dell’Eurovision si colorò di arancione, il colore della rivolta popolare che estromise il presidente filorusso Viktor Janukovyc, per portare al suo posto Viktor Yushchenko: il testo della canzone dei Green Jolly diceva “No alle falsificazioni, no alle bugie. Juščenko, sì! Juščenko, sì!”, poi cambiato in “No alle falsificazioni, no alle bugie. Yushchenko, sì! Yushchenko, sì!”; alla fine la band cambiò il testo in “Crediamo, sì! Possiamo, sì!”, ma sfoggiò davanti alle telecamere i colori arancioni e una t-shirt con il volto di Che Guevara. Anche la prima volta di Kyiv sul palco dell’Eurovision, nel 2004, è stato un momento per rivendicare la propria storia. La cantante Ruslana vinse con una feroce esibizione di Wild Dances, non una canzone apertamente politica, ma che abbraccia un’identità nazionale post-sovietica, ricordando il folklore degli Hutsul, un gruppo etnico dell’Ucraina occidentale.

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