La verità su Truth, un Twitter noiosetto (e viola)

di Sonia Turrini (huffingtonpost.it, 20 marzo 2022)

Dopo quasi un mese, stamattina sul mio telefono è comparsa una notifica lilla: “La tua attesa è finita! Clicca per cominciare a usare Truth Social”. Ci provavo dal 20 febbraio, da quando la piattaforma creata da Donald Trump in risposta alla sua esclusione dai principali social era sbarcata sull’App Store americano. Il lancio non era esattamente andato liscio; la app è stata inizialmente prima nelle classifiche di download, per poi vedere gli utenti schiantarsi tutti collettivamente contro un muro di gomma di errori continui, liste di attesa, bug vari ed eventuali. Insomma, per un mese sono stata il numero 101.553 di una sinuosa coda virtuale che non si muoveva di una posizione.

Poi, goccia a goccia i profili sono stati lentamente attivati. Arrivato il mio turno, stamattina ho creato un account con username d’invenzione, senza foto né biografia, e mi sono imbarcata col mio alter ego farlocco in un tour di esplorazione. Dalla struttura dell’app alla posizione dei pulsanti, dall’organizzazione della timeline alle feature disponibili, Truth Social è esattamente uguale a Twitter. Ma viola. Anziché tweet sulla piattaforma si possono pubblicare delle truth, delle verità – si potrebbe qui aprire un dibattito sull’opportunità di chiamare indiscriminatamente “verità” qualunque opinione possa essere rattrappita nei 500 caratteri concessi per ogni post. Con le truth si può interagire mettendo mi piace, rispondendo o ricondividendole (retruth), proprio come su Twitter. La somiglianza non è scandalosa, in realtà: l’obiettivo dichiarato del progetto era proprio quello di creare un Twitter privo di cancel culture, in cui nessuna opinione fosse censurata dal politically correct. Perciò, mi sono detta, la differenza sostanziale tra Truth e Twitter dovrà stare nei “Termini di servizio”, e così ho fatto quella cosa che nessuno fa mai e cioè me li sono andata a leggere, aspettandomi un breve cartiglio che mi dicesse che su Truth tutto è concesso. Delusione: sono le solite cose. Non postare affermazioni false, illegali, diffamatorie, pornografia, minacce eccetera.

Nessuna sorpresa, dunque, che anche Truth abbia già bannato degli utenti, proprio come prometteva che non avrebbe fatto. Il pericoloso account bloccato è quello di @DevinNunesCow, un profilo già molto noto su Twitter col nome @DevinCow il cui gestore si finge una mucca di proprietà dell’ex rappresentante repubblicano Devin Nunes. Perciò, per gli interessati, prendete nota: su Truth non ci si può spacciare per bovini. Esplorando i post mi aspettavo un tripudio conservatore, una fiorente community di confronto sui temi cari alla destra americana, ma ad occhio e croce il social sembra poco utilizzato. Pochi post, qualche meme con poche interazioni… Un po’ noiosetto. Mi sposto nella pagina “Esplora” per dare un’occhiata agli hashtag di tendenza, ma sono di nuovo delusa: #Ucraina, #war, #Russia, #inflazione. Insomma parliamo tutti delle stesse cose, solo che ora non ne parliamo gli uni con gli altri. L’unica nota di colore è il celeberrimo hashtag #LetGoBrandon, lo slogan virale con cui i repubblicani mandano a quel paese Joe Biden (la storia è esilarante: mentre intervistava Brandon Brown, vincitore della gara automobilistica Sparks300, dietro la giornalista di Nbc Kelli Stavast è partito un coro che molto ma molto chiaramente scandiva “F**k Joe Biden”. La poverina, in diretta, ha cercato di metterci una pezza spiegando che dietro di lei si potevano udire forti e chiari i fan del vincitore gridare “Let’s Go Brandon”, e il resto è storia).

Prima di rinunciare definitivamente dò una scorsa agli account che Truth consiglia di seguire. Ci sono l’Nfl, un account di news sull’esercito americano, una sfilza di presentatori di Fox News e Kyle Rittenhouse, il ragazzo che ha sparato uccidendo due uomini a Kenosha, recentemente assolto ed entrato nelle grazie di Trump. Scrollando rapidamente il feed dei principali presentatori di Fox News e della parlamentare trumpiana Marjorie Taylor Greene osservo che pubblicano gli stessi identici post, parola per parola, tanto su Truth quanto su Twitter, dove evidentemente non sono poi così censurati, e dal cui foltissimo pubblico politically correct non sembrano avere quindi la bruciante necessità di allontanarsi. Ovviamente in cima alla lista degli account suggeriti c’è lui, il padrone di casa. Clicco, e scopro che The Donald qui ha 627mila followers (su Twitter ne aveva 88.7 milioni) ma non ha mai postato nulla eccetto una verità di benvenuto digitata il 10 febbraio che recita “Preparatevi! Il vostro presidente preferito arriverà presto!”. Non credo aspetterò. Ho cancellato il profilo.

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