di Davide Rondoni (quotidiano.net, 6 luglio 2021)
Il mondo in apprensione per un corpo. Quello del Papa. Era successo anche quando, spudoratamente, Papa Wojtyła appariva macilento, ammutolito e sacro. E poi per Papa Ratzinger, che apparve, prima di quasi celarsi, infragilito e lucente. Il cristianesimo è la fede in un corpo. Non in un’idea. Perciò l’apprensione per il corpo del Papa non è la medesima apprensione per il corpo, che so, di un presidente o di una star. Somiglia, specie per come ne parlano i media. Ma, per i cristiani, è tutt’altra faccenda. È un’apprensione mista a gratitudine. Insomma, è il ripetersi, il rinnovarsi di una questione che non si esaurisce con la ovvia e giusta apprensione per il corpo di un leader.
Perché il Papa, il suo corpo, non solo il suo magistero, non solo le sue idee, sono il punto in cui si mostra la verità fondamentale del cristianesimo. Che non è una religione, ma l’avvenimento dell’Incarnazione. Per questo il cristianesimo autentico è sempre scandalosamente carnale. Come si vede nelle sue più vere effigi d’arte, nelle sue autentiche proposte di vita comunitaria. La fede è un affetto verso quel Gesù, Dio incarnato, che “ride come un bimbo”, come diceva Ungaretti. E che soffre come un cane in croce, innocente. E poi risorge, corporalmente. Un innamoramento, non una religione. Lo sapevano i grandi mistici, mai spiritualisti. E i grandi santi, come quel Francesco da cui il Papa prende nome. Gente che non ha mai ridotto il cristianesimo a morale, a idea, a vago spiritualismo. Che non ha mai confuso l’essere cristiani con l’adesione a concetti o ideologie. Perché l’esser cristiani è essere legati a un corpo. Esserne pazzamente innamorati ed esserne umilmente, anche con tutti i nostri tradimenti, legati.
Vi è uno strano segno dei tempi in questa malattia di Francesco, che tutti ci auguriamo lieve e di presta guarigione. Nel momento in cui tutto nella società sembra da un lato dematerializzarsi, virtualizzarsi, rendendo spesso i corpi fantasmi o ologrammi narcisisti, e però, dall’altro lato, nel momento in cui la pandemia ci ha fatto toccare, contemporaneamente, in modo tragico e vasto la fragilità dei nostri corpi, specie dei più anziani, ecco che la malattia del Papa, la sua corporeità esposta nel limite, divengono un’icona, un emblema da interpretare. Quel corpo di Francesco diventa una domanda per tutti noi, cristiani e non. Sappiamo che non siamo finzioni, ma carne e sangue, erò non siamo nemmeno solo carne e sangue, non vogliamo essere solo qualcosa che deperisce: ma allora cosa siamo? La domanda non è peregrina in un tempo in cui, dalle neuroscienze alle tecnologie, fino alle leggi dei parlamenti, la discussione intorno a cosa sia la natura umana è vivace, e non priva di conseguenze anche gravi.
Insomma, questo corpo celebre ma indebolito, buttato com’è ormai normale nell’agone della piazza pubblica dei media, essendo il corpo del Papa, non uno qualsiasi, fa sorgere domande circa qualsiasi corpo. “Misterio etterno dell’esser nostro” mormorava Leopardi. Siamo sicuri che i nostri corpi siano adeguatamente compresi nella nostra società, che pur sembra, in apparenza, esaltarli? Quando una cultura e una società tendono a disprezzare il corpo (c’è disprezzo anche in tanta falsa esaltazione, in tanta riduzione ginnica e cosmetica), quando tendono a coprirne o a spettacolarizzare la fragilità (quante serie televisive sugli ospedali, prima che gli ospedali entrassero in tutti i tg), ecco che si deve temere qualcosa. Quando si disprezza il corpo, si disprezza l’uomo intero. Quando si banalizza il corpo, si banalizza la persona intera. La lettura integrale del fenomeno umano sa che la separazione assoluta che si affaccia in tante culture e in tante società tra corpo e spirito fa danni all’uno e all’altro. Il corpo è la gloria povera e magnifica della vita. Lo spirito ne è il fiato primario, non puramente biologico. Oggi, ripeterselo, tremando tutti per il corpo del Papa, significa tremare per il senso della nostra esistenza.