di Federico Corona (esquire.com, 9 giugno 2021)
Il processo di avvicinamento della Nazionale inglese a una manifestazione internazionale è sempre condito da un misto di timore e fiducia. Timore di perdere l’ennesima occasione e fiducia di interrompere una maledizione che dura dal 1966, anno in cui i Tre Leoni vinsero quel mondiale che resta l’unico trofeo della loro storia. Anche per l’Europeo alle porte le aspettative sono altissime. L’Inghilterra è una squadra che assembla perfettamente giocatori esperti e una generazione d’oro di giovani talenti tra i migliori al mondo. Ha qualità e intensità, gioca un Calcio di dominio e controllo. L’eccitazione dovrebbe essere alle stelle, tuttavia la squadra del ct Gareth Southgate si trova, a pochi giorni dall’esordio, a dover gestire una situazione difficile.
Le ultime due amichevoli, giocate rispettivamente contro Austria e Romania, avrebbero dovuto essere utili per un ultimo rodaggio e per sciogliere qualche dubbio sugli undici che scenderanno in campo domenica 13 giugno. Invece si sono trasformate nell’ennesimo dibattito su Calcio, razzismo e politica. Colpa dei fischi e degli ululati con cui gli ottomila spettatori del Riverside Stadium di Middlesbrough hanno accompagnato il gesto antirazzista di inginocchiarsi prima del fischio d’inizio da parte dei calciatori inglesi. Le due vittorie ottenute sul campo sono così passate in secondo piano, e a tener banco è stata la spaccatura, per non dire il conflitto, tra squadra e opinione pubblica per quel “take a knee” divenuto ormai un’abitudine che molti non accettano più. Era il 31 maggio 2020 quando Marcus Thuram, attaccante francese del Borussia Monchengladbach, festeggiava il secondo gol all’Union Berlin mettendosi in ginocchio per esprimere la sua solidarietà al movimento Black Lives Matter e per commemorare George Floyd, morto soffocato sotto il ginocchio dell’agente di polizia Derek Chauvin pochi giorni prima. Da quel momento, in tutta Europa molti giocatori neri hanno reso quel gesto di denuncia un rito pre-partita, rievocando al contempo il suo principale promotore Colin Kaepernick, ex quarterback Nfl che pagò duramente la sua lotta contro la discriminazione razziale.
Oggi, poco più di un anno dopo, lo “kneeling” non è più accolto con la stessa apertura. I fischi che di recente ne hanno fatto da colonna sonora vengono giustificati con la tesi che quell’atto abbia una chiara connotazione politica, e che per questo debba rimanere fuori dal recinto del campo. In più occasioni i calciatori inglesi hanno provato a spiegare che la politica non c’entra, per ultimo Raheem Sterling, che ha ribadito quanto sia triste e deludente che le persone non capiscano il significato del gesto. Se Boris Johnson, attraverso il portavoce di Downing Street, ha espresso il suo sostegno ai giocatori facendo sapere che quel gesto «rispetta pienamente il diritto di protestare pacificamente ed esprimere i propri sentimenti», parlamentari conservatori e personaggi di spicco della destra non hanno perso occasione di soffiare sul fuoco della questione ideologica. Tra questi l’ex leader di Brexit Party, Nigel Farage, che ha manifestato il suo dissenso con i soliti toni aspri: «Inginocchiarsi a Black Lives Matter non ha nulla a che fare con l’uguaglianza di opportunità o la giustizia razziale. Significa piuttosto solidarizzare con una organizzazione marxista che vuole eliminare le forze politiche, vuole distruggere il capitalismo occidentale, cancellare il nostro modo di vivere e sostituirlo con un nuovo ordine comunista». È difficile pensare che le migliaia di persone che hanno fischiato i giocatori nelle ultime due partite si siano opposte a quel gesto per combattere l’incombente minaccia del comunismo. Più logico ricondurre quella protesta all’ostracismo verso una battaglia apertamente antirazzista, che evidentemente non viene universalmente accettata e caldeggiata.
«Se ci sono ancora persone che fischiano perché siamo uniti contro il razzismo, allora c’è davvero ancora un problema e dobbiamo continuare a combatterlo» ha detto il centrocampista Jordan Henderson, uno che ha già dimostrato di non avere problemi a esporsi. Un concetto perfettamente in linea con questo tweet dell’apprezzato commentatore Gary Lineker, spesso efficace in pochi caratteri «Se fischi i giocatori della Nazionale inglese perché si mettono in ginocchio, sei uno dei motivi per cui i giocatori di Calcio si inginocchiano». Non bisogna andare troppo a fondo per rilevare il problema del razzismo nel Calcio inglese. Poco più di un mese fa, la Federcalcio inglese, insieme con i club e le leghe minori, ha indetto tre giorni di sciopero dall’attività sui social col fine di sensibilizzare le persone contro i crescenti episodi di razzismo on line. A maggio, otto persone sono state arrestate per insulti di matrice razziale rivolti al calciatore del Tottenham Son, dopo la gara persa 3-1 contro il Manchester United. Questo clima tossico, che in Inghilterra si respira da più di un anno, con decine e decine di giocatori che denunciano abusi, messaggi di odio e violenze verbali, dovrebbe essere sufficiente per accettare senza un fiato il gesto di inginocchiarsi, per capire quanto importante sia per i giocatori neri lanciare continui appelli all’uguaglianza, anche con un gesto che per via della sua reiterazione rischia di perdere la potenza della sua istanza e il valore del suo obiettivo. «Fischiare pubblicamente un semplice gesto antirazzista è un atto vergognoso e offensivo. Farlo con i giovani, i tuoi stessi giocatori, che sono regolarmente vittime di abusi razziali, è doppiamente vergognoso», ha scritto Barney Roney sul Guardian.
A seguito di una serie di episodi spiacevoli, lo scorso dicembre il sindacato dei calciatori professionisti in Inghilterra ha condotto un’indagine tra i tesserati per capire se continuare o meno a inginocchiarsi. I giocatori hanno espresso parere favorevole, e anche oggi, a fronte di quanto successo nelle ultime due amichevoli, sono intenzionati a proseguire su questa linea. «Non possiamo negare quello che è successo, ma i fischi non fermeranno ciò che stiamo facendo e ciò in cui crediamo», ha detto Southgate in un’amara conferenza stampa tenuta dopo la partita con l’Austria. L’Inghilterra giocherà le tre partite del suo girone a Wembley. Il rischio che i fischi tornino a macchiare un momento sentito è reale, ed è assurdo pensare che il cammino europeo di una Nazionale forte, fresca e ambiziosa debba iniziare con queste paure. Chissà che questo conflitto non aiuti la squadra inglese a cementare il gruppo, che zittire gli ululati non sia un ulteriore stimolo per tornare finalmente ad alzare un trofeo.