Il giocoso segreto dell’Eurovision

di Claudio Rossi Marcelli (internazionale.it, 24 maggio 2021)

Lo scorso fine settimana sulla piattaforma di musica in streaming Spotify è accaduto qualcosa apparentemente difficile da decifrare: La cura di Franco Battiato, che dal giorno della morte del cantautore dominava la classifica italiana, è stata soppiantata dalla versione elettronica di un canto pre-cristiano della tradizione folk ucraina dedicato al raccolto della canapa. Questo semplice aneddoto fa capire di che creatura bizzarra parliamo quando parliamo di Eurovision. Shum dei Go_A, la canzone in questione, era infatti la proposta ucraina nell’edizione 2021 dell’Eurovision Song Contest, che si è conclusa il 22 maggio a Rotterdam con la vittoria del gruppo italiano dei Måneskin.

Ph. Piroschka van de Wouw / Reuters
Ph. Piroschka van de Wouw / Reuters

Con oltre duecento milioni di telespettatori l’Eurovision è la competizione canora più seguita del mondo, eppure sarebbe impossibile paragonarla a qualunque altra manifestazione del panorama musicale internazionale. A partire da una caratteristica più unica che rara: l’assenza di una logica commerciale. Organizzato annualmente dall’Unione Europea di Radiodiffusione con l’intento di coinvolgere il pubblico dei diversi Paesi europei e promuoverne l’integrazione, l’Eurovision è un calderone di generi musicali, costumi di scena, lingue, colori, giochi pirotecnici, nazionalità e stranezze in cui manca l’onnipresenza del marketing tipica di tutti gli altri eventi musicali e sportivi internazionali. Un aspetto che si nota fin dalla scelta delle canzoni in gara, che sono tradizionalmente selezionate più per intrattenere il pubblico durante la serata che con l’effettivo intento di farle arrivare in radio e al successo commerciale. Come spiegare altrimenti la decisione di mandare in scena un brano folk ucraino in chiave dance? Consapevoli del fatto che gli artisti non anglofoni difficilmente riescono a sfondare nei singoli mercati europei, i Paesi in gara non subiscono alcuna pressione a mandare nell’arena il brano con più potenzialità commerciali e selezionano quindi con grande libertà il loro pezzo in gara.

E il risultato è un trionfo di creatività e spontaneità che, per esempio, quest’anno ha fatto innamorare il pubblico europeo di un pezzo glam-rock di quattro ragazzi romani. Un’impresa talmente imprevedibile che nessuna casa discografica avrebbe potuto realizzare. Per gli statunitensi, poi, che studiano l’Eurovision con la curiosità di chi osserva un animale esotico allo zoo, l’aspetto più sconvolgente è scoprire che esiste uno show musicale di oltre tre ore senza neanche un’interruzione pubblicitaria. E senza la presenza di sponsor ingombranti che richiedano spazio e visibilità nel corso della serata. “È ormai una triste realtà che, quando si tratta di grandi eventi musicali o sportivi, al marketing sia garantita sempre una grandissima libertà di espressione”, scrive l’editor di moda e costume del New York Times, Vanessa Friedman. “Ed è per questo che l’Eurovision è una tale gioia da guardare: la parata di costumi di scena al limite del ridicolo che si alternano sul palco sono indossati con tale esuberanza che alla fine ti convincono che a volte l’obiettivo finale dovrebbe essere solo sentirsi liberi di vestirsi come si vuole”. “In realtà gli italiani Måneskin, i trionfatori della serata, erano vestiti da un famoso marchio ma nessuno se n’è accorto, perché l’identità della band ha completamente offuscato la casa di moda”, prosegue Friedman. “Ed è questo che rende l’Eurovision così speciale e così unico nel suo genere”.

Lontano anni luce da eventi come la notte dei Grammy o gli Mtv Music Awards, in effetti per trovare un degno paragone bisogna uscire dall’ambito musicale e andare a ripescare Giochi senza frontiere, la grande competizione televisiva in cui le squadre rappresentanti dei Paesi europei si sfidavano in una serie di gare. E allora diventa ancora più chiaro che il filo conduttore tra i due programmi è la volontà di intrattenere il pubblico celebrando la ricca diversità europea. Giochi senza frontiere non va più in onda dal 1999 e in un’epoca in cui anche le Olimpiadi sono state completamente assoggettate alla necessità di pubblicizzare e vendere prodotti, il fatto che una volta l’anno l’Europa si ritrovi su un palco con l’unico scopo di divertirsi tutto sommato è un’occasione da non perdere.

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