La diplomazia parallela del mondo dello “star system”

Spesso più efficace (e diretta) nella difesa dei diritti

di Massimiliano Panarari («La Stampa», 14 settembre 2015)

Da tempo ci siamo abituati alla politica pop, ma adesso scocca l’ora della pop-politica estera. Il suo alfiere n. 1 sembra essere il musicista e cantante britannico Elton John, dotato di quella che si presenta come una vera e propria agenda diplomatica, fatta di priorità e obiettivi e imperniata sui diritti civili e la lotta contro l’omofobia. Con tanto di scelta oculata dei luoghi d’azione e una tempistica tutt’altro che accidentale o lasciata al caso, degna di una «cancelleria 2.0». Autentica diplomazia postmoderna, che sa risultare anche poco diplomatica (e beneficia del fatto che un artista, a differenza di ministri degli Esteri e ambasciatori, può concedersi qualche licenza in più).

L’ultimo intervento

Sir Elton John (nominato baronetto dalla regina Elisabetta su proposta di Tony Blair) ha lanciato ieri il guanto della sfida a Vladimir Putin, prendendo le mosse da una alquanto controversa e persecutoria legge del 2013 (basata sull’equiparazione di fatto tra gay e pedofili), e ha definito «ridicole e discriminatorie» e «stupide» le posizioni delle autorità russe sugli omosessuali. E il siluro allo «zar», con contestuale (e spettacolare) richiesta di incontro, è stato spedito dal cantante mediante un’intervista alla Bbc rilasciata proprio mentre si trova in visita dal presidente dell’Ucraina, impegnato a perorare modifiche legislative anti-discriminazioni e a fare lobbying per la causa lgbt. E dopo l’incontro con Petro Poroshenko ne ha riferito, dicendosi soddisfatto delle aperture, sull’utilizzatissimo e adorato Instagram, in pieno stile diplomazia social e disintermediazione via Rete (lontanissima, dunque, dalla segretezza e dagli arcana imperii tipici dei rapporti tra gli Stati).

I precedenti

Ma questo non è che l’ultimo episodio dell’«Agenda John», che ha anch’essa linee strategiche e protocolli da media potenza internazionale, e un raggio d’azione almeno altrettanto (se non ancora di più) globale. Nel marzo di quest’anno, infatti, si era scontrato con gli stilisti Dolce e Gabbana e il loro «pensiero arcaico» (come lo aveva classificato, senza parafrasi felpate da vertice internazionale) sulla famiglia tradizionale e gli «uteri in affitto». Il musicista – che ha sposato nel dicembre del 2014 il compagno storico, David Furnish, e ha due figli da madre surrogata con la fecondazione artificiale – ha messo nel mirino la moda del duo milanese etichettandola anch’essa come «superata», e ha lanciato una campagna di boicottaggio dei loro vestiti e prodotti, nuovamente via social network. Perché, sia sa, siamo tutti consumatori nel Villaggio globale, e nelle relazioni (economiche) internazionali ferisce più il sabotaggio degli acquisti che la spada. E, ancora, non si sono spenti gli echi della querelle che lo ha visto contrapposto al sindaco di Venezia Luigi Brugnaro – un politico che con le polemiche ci va a nozze – sulla «lista nera» di libri banditi dalle scuole della città lagunare perché depositari della famigerata (e piuttosto indefinita) teoria gender.

Influenzare le masse

L’idea di una società più aperta, inclusiva e tollerante sta nel dna di una parte del mondo della musica pop contemporanea, ma qui c’è qualcosa di più. La politica, interna e internazionale, di questi nostri decenni – ce lo insegna uno che se ne intende, Joseph Nye jr. (politologo di Harvard e già sottosegretario alla difesa di Bill Clinton) – si fa anche e specialmente a colpi di soft power e attraverso la capacità do orientare l’immaginario delle opinioni pubbliche. E, dunque, cosa meglio della musica rock per pesare sui governi e sulle organizzazioni sovranazionali, come Bob Geldof capì tra i primi con i suoi Live Aid (di cui si è da poco ricordato il trentennale)? John si inserisce così, con una strategia chiara e con la volontà deliberata di influire sull’agenda-setting delle relazioni internazionali, proprio all’interno di questo cambiamento dello spirito dei tempi e della politica in un mondo che la globalizzazione ha reso sempre più interconnesso. Come dicono diversi studiosi, ci troviamo di fronte alla nuova costellazione della governance globale postmoderna che ha visto l’irruzione sulla scena di molti attori non governativi, dalle multinazionali alle Ong, fino, perché no?, a singoli portatori di soft power e personalità che bucano i media su scala planetaria. Come, appunto, la pop-star pro-diritti lgbt Elton John.

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