di Pierfrancesco De Robertis (quotidiano.net, 4 maggio 2021)
Ciò che colpisce del “caso Fedez”, a distanza di due giorni dal divampare della crisi, non sono tanto le parole del rapper, il suo tentativo un po’ furbastro di mischiare le carte e censurare una telefonata di una dirigente Rai spacciandosi lui per censurato, quanto la reazione del mondo politico. “Fedez ha ragione”, “concordo con Fedez” e giù applausi. Il più duro di tutti ha provato a essere Salvini, direttamente chiamato in causa dal palco del concertone del primo maggio, con un proditorio “lo inviterò a prendere un caffè”. Sai che paura. Non c’è che dire, Fedez fa Fedez, cioè vende sé stesso nel confuso Ballarò dello spettacolo diventato politica e della politica diventata spettacolo.
Ma è la politica che ha rinunciato a fare la politica, abdicando alla propria funzione di mediazione e di elaborazione di idee. Trasformandosi senza volerlo e forse senza saperlo in ulteriore generatore di un leggero e inconsapevole populismo. La sinistra accusa Salvini e la Meloni di populismo, stigma infamante della politica neocon, ma che cosa è se non populismo accodarsi senza batter ciglio alle tesi buttate lì da un cantante noto più per il numero dei follower che per le sue idee?
Populismo è ridursi a esercitare il modello della following leadership, quello per cui la politica “segue” quello che dice la gente e non la guida. Una volta la politica, in specie la sinistra, “ascoltava”, ragionava, elaborava e poi decideva. Adesso, semplicemente, va a rimorchio. Della gente, dei follower sui social e quindi, a maggior ragione, di un campione di follower come Fedez. Una trasformazione che non può essere salutata con soddisfazione, specie per la sinistra che a differenza della destra il populismo pare subirlo. Populisti a propria insaputa, per condanna altrui.