La parità di genere dei titoli nobiliari

(ilpost.it, 21 novembre 2020)

L’Atlantic ha raccontato i tentativi di un gruppo di donne aristocratiche britanniche per cambiare le leggi sull’ereditarietà dei titoli nobiliari, che nel Regno Unito nella gran parte dei casi possono passare solo da padri a figli maschi, escludendo le donne dai titoli e dai privilegi associati. Da una parte, è una questione di parità di diritti tra uomini e donne, dall’altra è tuttavia una questione che riguarda un gruppo di persone privilegiate per definizione: e per questo, spiega l’Atlantic, trovare sostegno per la causa fuori dal circolo dell’aristocrazia britannica è molto complicato.

Ph. Matthew Lloyd / Getty Images
Ph. Matthew Lloyd / Getty Images

La principale promotrice di questa campagna è Charlotte Carew Pole, che dal 2015 guida il movimento Daughters’ Rights (Diritti delle figlie). Daughters’ Rights si definisce un «gruppo di pressione che fa attività di lobbying per l’uguaglianza delle figlie che sono sistematicamente e istituzionalmente discriminate dalla legge sull’ereditarietà dei titoli». I suoi obiettivi sono mettere fine alla pratica «ingiusta e dannosa» della preferenza per i figli maschi e smettere di riconoscere loro maggiori diritti rispetto alle figlie femmine. Più concretamente, l’obiettivo è cambiare la legge per fare in modo che tutti i titoli inglesi e gallesi possano essere trasmessi anche alle figlie, come di norma succede già in Scozia.

Per conoscere meglio i meccanismi dei titoli nobiliari bisogna partire dalle basi. Attualmente nel Regno Unito ci sono 814 “pari” – 31 duchi, 34 marchesi, 193 conti, 112 visconti e 444 baroni –, ovvero aristocratici insigniti del loro titolo dal monarca reggente o che lo hanno ricevuto per discendenza (“pari ereditari”). I titoli dei pari e dei baronetti – che sono più di mille, hanno il diritto di essere chiamati “Sir”, come i pari, ma salvo poche eccezioni non lo sono – possono essere ereditati dai figli maschi primogeniti assieme a proprietà, patrimonio e via dicendo soltanto se i loro genitori sono sposati. In rari casi possono essere ereditati dalle figlie primogenite, soltanto se non arriva un figlio maschio: diversamente, il titolo si estingue. Questo meccanismo, conosciuto come “male primogeniture”, si ritrova per esempio nelle trame di Orgoglio e pregiudizio, il romanzo di Jane Austen in cui la tenuta di Longbourn, di proprietà della famiglia Bennett, può essere ereditata dal cugino William Collins, ma non dalle cinque sorelle Bennett; o ancora nella serie tv Downton Abbey, in cui l’eredità è un problema per il conte di Grantham, che ha soltanto figlie femmine.

Per dare l’idea del peso che ha avuto la “son preference” nella società britannica, Robin Neville, decimo barone Braybrooke, ebbe otto figlie nel tentativo di avere un maschio, ma morendo senza un erede lasciò la sua fortuna a un lontano cugino. Anche la Corona reale britannica si trasmetteva con meccanismi simili: se Elisabetta II avesse avuto un fratello minore (invece che una sorella) non sarebbe diventata regina; la legge è stata cambiata solo nel 2011, prima della nascita del primogenito del principe William e di Kate Middleton, il principe George, nato il 22 luglio 2013 e ora terzo in linea di successione per il trono britannico dopo suo padre e suo nonno, il principe Carlo. La questione riguarda da vicino anche Charlotte Carew Pole, che è moglie del figlio di un baronetto, Sir Richard Carew Pole. Al momento della morte di Sir Richard Carew Pole, il suo titolo passerà al marito di Charlotte, il quale però, secondo le attuali leggi, non potrà trasmettere il titolo alla loro figlia.

Fino al secolo scorso la “male primogeniture” poteva sembrare una cosa ovvia: la maggior parte delle donne si dedicava alla casa e alla famiglia, mentre gli uomini badavano a gestirne le ricchezze: se la donna avesse avuto il titolo, sposandosi lo avrebbe portato “fuori” dalla famiglia, rischiando d’indebolirne il nome e l’influenza. Secondo le aristocratiche della Daughters’ Rights adesso però la prevalenza dei figli maschi è anacronistica, soprattutto in un Paese in cui c’è la regina più longeva di sempre, che ha avuto due prime ministre – Margaret Thatcher e Theresa May – e che, peraltro, ha dal 1970 una legge contro la discriminazione salariale di genere. La proposta di modificare la legge sull’ereditarietà dei titoli ha l’obiettivo di estendere alle donne i privilegi che finora sono stati accordati solo agli uomini: uno di questi è il diritto di ottenere uno dei posti riservati ai pari ereditari alla Camera dei Lord, la camera alta del governo britannico. Oggi i membri della Camera vengono nominati dal regnante su proposta del primo ministro e dal 1958 possono essere anche donne, ricevono un incarico a vita ma non sono necessariamente dei pari e non possono tramandare il loro titolo. 92 degli 808 posti della Camera sono, tuttavia, ancora riservati ai pari ereditari e tra questi oggi non c’è nemmeno una donna: l’ultima, la contessa di Mar, si è ritirata lo scorso marzo.

Un tentativo di cambiare la legge per permettere alle figlie di ereditare i titoli nobiliari era già stato fatto nel 2013, ma la proposta, che era stata soprannominata “legge di Downton Abbey” – per via della serie tv, allora molto popolare –, non passò proprio alla Camera dei Lord. Le aristocratiche che avevano portato avanti la campagna per quella riforma hanno poi fondato il movimento Daughters’ Rights. Che un nuovo tentativo di cambiare la legge abbia maggior successo non è tuttavia scontato, tra le altre cose perché la decisione finale spetterebbe anche alla Camera dei Lord, dove soltanto il 28 per cento dei membri sono donne e la maggior parte degli altri hanno più di 70 anni e posizioni fortemente conservatrici. Anche se Daughters’ Rights si batte per l’uguaglianza di genere e per l’inclusione delle donne nel sistema, alcune sue attiviste hanno preso le distanze dal termine “femminismo”. Carew Pole ritiene che sia una definizione troppo radicale per gli obiettivi del movimento, che resta comunque legato al mondo conservatore e aristocratico. Allo stesso tempo, le attiviste di Daughters’ Righ si sono rivolte anche al Tribunale europeo per i Diritti Umani, sottolineando che negare alle donne il riconoscimento degli stessi diritti che hanno gli uomini è discriminazione di genere.

Fino ad ora la campagna ha fatto fatica ad allargarsi, sia perché molte aristocratiche preferiscono non esporsi, sia perché i tentativi di pressione lanciati a livello politico sono falliti. Un portavoce del governo ha dichiarato: «Una riforma della successione dei diritti ereditari solleva una serie di questioni complesse e qualsiasi cambiamento richiederebbe la massima attenzione e un impegno più ampio». Oltre a questo c’è il fatto che, pur essendo una campagna per l’uguaglianza dei diritti, è percepita come una questione elitaria, “da ricchi”, e lontana dalla realtà della maggior parte delle persone. Secondo un sondaggio commissionato dal governo, inoltre, il 59 per cento degli intervistati sa “molto poco” o “niente” della Camera dei Lord; un terzo preferirebbe, poi, interventi più radicali: sostituirla cioè con una camera dove i e le rappresentanti siano almeno in parte eletti dai cittadini, e il 21 per cento la abolirebbe del tutto.

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