di Massimiliano Panarari (huffingtonpost.it, 12 luglio 2020)
Il prof. Pier Luigi Lopalco si candida oppure no alle elezioni regionali pugliesi? Non siamo dalle parti dei dilemmi amletici, ma di quelli politici. Il corteggiamento da parte di Michele Emiliano, che lo ha voluto quale coordinatore della task force anti-Covid della Regione Puglia, è in fase molto avanzata. E nei prossimi giorni, a stretto giro, si attende la sua decisione. Se scioglierà la riserva sarà il primo tecnico made in “era Covid” sceso in politica.
E, di certo, «non sarà l’ultimo», come ha commentato il suo collega virologo dell’Università Vita-Salute San Raffaele di Milano Massimo Clementi. Insomma, il virus della politica “contagia”. Specie se si tratta di quella vera e propria declinazione della biopolitica che potremmo etichettare come epidemiopolitica. Ed è lecito attendersi, quindi, che il settore medico-scientifico proiettato in politica – il “partito dei virologi” – possa vivere una serie di divisioni, tra Centrodestra e Centrosinistra e tra maggioranza e opposizione e, magari, anche la genesi di nuove categorie e contrapposizioni (per esempio, fra un “populismo” e un “riformismo” epidemiologici).
Nell’“era Covid”, il paradigma immunitario ed epidemiologico è diventato un elemento fondamentale della vita pubblica, e una chiave importante per interpretare una mentalità collettiva in corso di profonda trasformazione, che sembra avere trovato dei modelli di riferimento. Il virologo, l’infettivologo e l’epidemiologo (e, in misura minore, lo pneumologo) hanno rappresentato gli “ancoraggi” e i personaggi di riferimento del pubblico delle tv e dei social della fase attuale dell’età della democrazia del pubblico. E si sono ritrovati nel bel mezzo di una serie di mutazioni profonde del nostro modo di vivere, come pure di una nuova tappa delle relazioni pericolose tra tecnica e politica nell’Italia della “transizione infinita” del post-Tangentopoli.
La figura del virologo, nuovo faro dell’opinione pubblica, si è in tal modo convertita in un’icona mediatica, contesa dai programmi televisivi; e, talk show dopo talk show, da difensore dei nostri corpi è slittato verso la funzione di pastore delle nostre anime. In un contesto mediatizzato e calato nella cultura postmoderna eccolo farsi, sempre di più, simile a una sorta di opinionista scientifico (non di rado in polemica con i suoi pari e gli altri personaggi del teatro mediatico). E, dopo avere dispensato consigli (o potenziali diktat…) agli italiani su come e dove trascorrere le vacanze, gli epidemiologi divengono oggetto della curiosità dei rotocalchi che domandano loro quali località di villeggiatura sceglieranno. E, così, il cerchio si chiude, e il meccanismo della pipolizzazione e la media logic inglobano anche quelli che, fino a prima del lockdown, erano austeri scienziati adusi più ai laboratori che alle dirette tv o rispettatissimi “primari ospedalieri” (come si sarebbe detto una generazione fa).
O, per meglio dire, il cerchio si era quasi chiuso. Per chiuderlo completamente ci mancava, per l’appunto, la “discesa (o salita) in politica”, sempre più variabile dipendente dei processi sociali di personalizzazione e mediatizzazione. E ultimissimo capitolo della storia, inaugurata dalla Seconda Repubblica, dell’egemonia politica – seppure a tempo determinato – del tecnico. Incoraggiata deliberatamente per deresponsabilizzarsi, o subita proprio malgrado per affrontare una crisi, dalla classe politica elettiva. Così, dopo gli economisti e i costituzionalisti, è suonata l’ora dei virologi, con una specie di precedente temporale illustre, quello dell’igienismo positivistico del dopo Unità d’Italia. Corsi e ricorsi storici. Allora c’erano ancora pellagra, tifo e colera da debellare, oggi c’è il Coronavirus, e ci sono un sistema dei media e delle macchine comunicative in grado di creare leader potenziali e salvatori della patria «nello spazio di un mattino». Come pure di digerirli e macinarli in men che non si dica…