(blitzquotidiano.it, 13 giugno 2020)
Facebook ha licenziato un dipendente perché molto critico verso l’atteggiamento del social sui post del presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, sulle proteste per George Floyd. Brandon Dail è stato cacciato per aver polemizzato con un collega al quale aveva chiesto senza successo di aggiungere il banner #BlackLivesMatter a un progetto cui stavano lavorando insieme. Davanti al rifiuto, Dail ha criticato il collega su Twitter, spingendo così Facebook a siluralo.
Facebook ha confermato la ricostruzione, senza fornire ulteriori dettagli. «Sono stato cacciato per aver criticato la mancata azione di un dipendente su Twitter. Resto convinto di quello che ho fatto», ha twittato Dail. L’ex dipendente, in polemica con il suo ex datore di lavoro, ha spiegato che la sua critica «violava le rispettose politiche di Facebook. Non sto dicendo che mi abbiano licenziato ingiustamente. Ma non ne potevo più di Facebook, dei danni che sta facendo e del silenzio di coloro che si rendono complici (me incluso)».
A far scattare l’ira di Dail, e di molti altri dipendenti di Facebook, è stato il post del 29 maggio di Trump in cui il presidente ha definito «criminali» i manifestanti di Minneapolis, la città dove è stato ucciso Floyd. Un post bollato da Twitter come “incitazione alla violenza”, mentre Facebook non è intervenuta, su decisione di Mark Zuckerberg. Le polemiche sono state immediate, sia all’interno della società sia fuori. «Deluso di doverlo dire: l’incitazione alla violenza di Trump su Facebook è disgustosa e dovrebbe essere segnalata e rimossa dalle nostre piattaforme. Sono categoricamente in disaccordo con ogni politica che sostiene il contrario», aveva twittato Dail dopo le spiegazioni di Zuckerberg.
Il 1° giugno centinaia di dipendenti di Facebook, incluso Dail, hanno incrociato le braccia e abbandonato le loro postazioni di lavoro per manifestare la loro contrarietà all’inazione della società. Le polemiche sempre più infuocate hanno spinto Zuckerberg ad avviare una revisione delle politiche societarie. E forse anche a riassumere Chris Cox come chief product officer a un anno del suo addio. Prima della sua uscita, Cox – soprannominato da alcuni “la coscienza di Facebook” – aveva posto in cima all’agenda delle priorità la lotta ai contenuti controversi e alla disinformazione. Diversi manager della società all’epoca avevano fatto spallucce. Ora, probabilmente, dovranno tornare sui loro passi.