di Roberto Brunelli (agi.it, 15 gennaio 2020)
È con le avventure di Hansi – un uccellino che prima cerca la libertà, poi capisce che preferisce tornare in gabbia – che il Terzo Reich intendeva vincere un’altra guerra, oltre al conflitto che stava devastando in quegli stessi anni il mondo intero: quella dei cartoni animati, avviata per contrastare la supremazia – in realtà mai scalfita, ovviamente – di Hollywood.Il film d’animazione – voluto da Hitler in persona – finì, peraltro, per essere realizzato a due passi dal campo di concentramento di Dachau. Si tratta di una storia paradossale e al tempo stesso terribile, che riemerge in questi giorni in occasione dei cent’anni dei cartoni animati tedeschi con un’apposita cronologia pubblicata sulla homepage dell’Istituto tedesco per il film d’animazione di Dresda. Come riferisce Die Welt, “sono particolarmente scottanti i capitoli relativi all’epoca del nazionalsocialismo”. Ne emerge la vicenda della società creata dal ministro della Propaganda, Joseph Goebbels, per contrastare il dominio della Disney, ma anche che molte figure dirigenziali di questa società “continuarono tranquillamente a fare il loro lavoro anche nel dopoguerra”.
Prima della fine del secondo conflitto mondiale e del tracollo del Terzo Reich, la società Zeichenfilm riuscì a produrre in realtà una sola pellicola, della durata di appena di 18 minuti: Armer Hansi (Povero Hansi, in italiano), storia, appunto, di un canarino che desidera la libertà, ma alla fine di una serie di sfortunate avventure e di pericoli capisce che in gabbia starà molto più al sicuro. Da un punto di vista visivo chiaramente ispirato ai prodotti Disney, la sua vicenda è quantomeno significativa per quella che era la mentalità dei nazisti: la libertà è un ingombrante impiccio, un’illusione della quale è meglio privarsi il prima possibile, le sbarre di una gabbia sono ben più rassicuranti.
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In un certo senso, quella dei cartoni animati è anche la storia del clamoroso ritardo del Terzo Reich rispetto alla cultura popolare americana: nel 1941 Hitler e Goebbels riuscirono a farsi proiettare una copia di Biancaneve e i sette nani, capolavoro Disney del 1937 che nei cinema tedeschi arriverà solo diversi anni dopo la guerra. Ne furono completamente conquistati, decidendo appunto di mettere in piedi una produzione di cartoni animati che fosse concorrenziale con il gigante Usa, affidata ad uno dei collaboratori più fidati di Goebbels, Karl Neumann. Questi mise al lavoro una sessantina di disegnatori e coloristi di vari Paesi (Francia, Olanda e Russia): Armer Hansi fu realizzato al costo complessivo di 4 milioni di Reichsmark tra il 1941 e il 1943.
Il ministro per la Propaganda mostrò di apprezzare, dando al film il premio per la cultura tedesca dell’anno. La vera anima dietro il cartone animato del piccolo Hansi fu Gerhard Fieber, che dopo la fine del conflitto mondiale sarà responsabile di un nuovo film, Purzelbaum ins Leben (ossia, Capriola nella vita) – e, in origine, avrebbe dovuto realizzare una versione originaria dell’Ape Maia, di cui era stato già prodotto un film muto nel 1926. Doveva essere il film “di passaggio” dalla vecchia produzione nazista alle nuove realtà cinematografiche tedesche, in particolare della Deutsche Film Ag (detta Defa), fondata nel 1946. In quello stesso anno Neumann, braccio destro di Goebbels, s’impiccò in un bagno dopo esser finito nelle mani dei sovietici; mentre Fieber sostenne sempre: “noi disegnatori non fummo mai costretti dai nazisti a essere attivi politicamente. I film che realizzavamo noi erano favole, senza tendenze politiche”.
È difficile credergli. La sede della società Zeichenfilm fu danneggiata dalle bombe cadute su Berlino. Si decise, a quel punto, di spostare gran parte della produzione a Dachau, a due passi dal locale campo di concentramento. I dipendenti della Zeichenfilm affermarono, dopo la guerra, di non aver percepito cosa stesse accadendo a poche centinaia di metri di distanza. Una disegnatrice tedesca, Anna-Luise Subatzus, avrebbe in seguito raccontato: “Non ci rendevamo conto di quello che succedeva. Quando l’abbiamo saputo non potevamo crederci. Avevo avuto solo un incontro, un’intera compagnia di detenuti in un oscuro tunnel, tutti con zoccoli di legno ai piedi e cani pastori alle loro calcagna, era una cosa terribile”.
Per di più un vecchio collega di Fieber, il pittore Bernhard Klein (fratello dell’espressionista César Klein) – che, dopo aver lavorato per la Zeichenfilm, nel 1944 fu arrestato dalla Gestapo perché sposato con una donna ebrea – accusò il disegnatore di “essere stato strettamente legato ai nazisti; aveva anche realizzato disegni che irridevano gli ebrei”. Nondimeno, Fieber riuscì ad arrivare a Gottinga, dove nel 1949 realizzò il primo lungometraggio d’animazione tedesco, Tobias Knopp. Ma fu un clamoroso flop, anche perché si era potuto produrre solo in bianco e nero e proprio mentre in Germania usciva per la prima volta la Biancaneve disneyana a colori. “Un nano contro un gigante”, commentò amaro Fieber. In realtà, una specie di vendetta della Storia.