La parola della settimana è: reali/e

di Massimo Sebastiani (ansa.it, 11 gennaio 2020)

In una recente intervista alla Bbc, Elisabetta II, la regina d’Inghilterra, mostra per la prima volta in tv la corona imperiale, che è il simbolo stesso del potere regale, e ne parla, la descrive. Da un lato lo fa con quel distacco di chi è consapevole che, attraverso quella corona, si esercita una funzione che altri prima e dopo di lei hanno esercitato e eserciteranno.La parola della settimanaIl potere è momentaneo, ma il simbolo di questo potere è eterno. Ecco dunque cosa significa essere i reali, essere regali: entrare in una dimensione di eternità che per definizione non si può modificare e tantomeno negare. Dall’altro Elisabetta ne parla come di qualcosa di molto concreto, ne descrive i gioielli, cui si riferisce quasi come se fossero cose animate, e si sofferma sul suo peso, che fa pensare a un’immagine traslata della fatica di essere re: un peso che impone di stare perfettamente dritti anche quando si deve leggere un discorso, come accade ogni anno durante la cerimonia di apertura del Parlamento inglese. C’è perfino un tocco di frivolezza: la regina dice «per fortuna non devo indossarla spesso». Dunque la regalità, sembra quasi suggerire Elisabetta, oscilla, slitta tra lo spazio astratto del potere e quello concreto, fattuale, ruvido del faticoso esercizio di una routine. Un re, una regina sono perennemente in bilico tra regalità e realtà.

Una vicinanza, anzi una adiacenza che Montaigne ha rappresentato così nei suoi Saggi: «Anche sul trono più alto del mondo, si sta seduti sul proprio culo». Da qui deriva lo “scandalo” di Harry e Meghan, che, in questi giorni, hanno annunciato di voler abbandonare il loro status di reali senior, che è un po’ come se una persona qualunque dicesse di voler abbandonare la condizione umana. Buckingham Palace, con il leggendario understatement inglese (e molto regale), non privo di ironia, ha parlato di una “questione complicata”. Se è vero, come ha spiegato Jacques Lacan, che esistono tre categorie del nostro materiale psicologico, il reale, l’immaginario e il simbolico, Harry e Meghan stanno provando, senza preavviso per di più – come è evidente dalla moderata e diplomatica irritazione della Corona, di nuovo intesa come funzione perché è come se Elisabetta parlasse per tutti i re e le regine di sempre –, a fare un balzo davvero gigantesco dal simbolico al reale. In questo caso, nella vertigine che ci impone questa parola, nel senso di vero, concreto, effettivo. Un passaggio che, come tutti ricordano, è già stato fatale per Diana Spencer.

Reale quindi è una parola che, con la stessa sillaba iniziale, ci porta in due dimensioni molto diverse anche se, evidentemente, collegate. La prima discende da rex, da cui poi regalis, che è legata al verbo regere, ovvero dirigere, controllare, governare, dominare, fissare, tracciare i confini; la seconda da res, cosa, fatto, circostanza, ma anche azione, impresa, interesse, commercio, attività pratica. Harry e Meghan chiedono dunque di poter uscire da quella dimensione mirabilmente descritta da Elisabetta II, ma stavolta in una fiction, nella terza stagione della serie tv The Crown, quando spiega a Filippo che fare il monarca inglese significa non fare nulla mentre gli altri ti guardano; chiedono di uscire dal simbolico, dove non fare nulla in realtà significa qualcosa, per entrare nel reale, nel mondo delle attività pratiche, tanto che i due hanno parlato proprio di indipendenza (un’altra parola pericolosa quando si appartiene alla simbolica del potere) economica.

Ma la dimensione del reale, inteso come regale, proprio perché simbolica, non si lascia facilmente abbandonare e, in un certo senso, neanche circoscrivere. Si può rimanere regali anche all’Inferno, come ci spiega Dante parlando di Giasone, l’eroe a capo della spedizione degli Argonauti, figlio di un re che però non divenne mai re: nonostante questo, e a dispetto del supplizio cui è costretto nelle Malebolge dell’Inferno per aver sedotto e ingannato, Giasone mantiene pur sempre, sottolinea Dante, un aspetto regale. E la forza simbolica dell’essere regali ci proietta in questa dimensione anche se non siamo, tecnicamente, dei re. Vale per gli animali (l’aquila reale e il germano reale, ma anche l’ape regina), per i giochi (la scala reale), ma vale anche per le persone comuni: re per una notte [‎The King of Comedy, 1983], come il folle aspirante comico interpretato da Robert De Niro nell’omonimo film di Martin Scorsese, o re (e regina) per un solo giorno, secondo una delle più struggenti canzoni di David Bowie [“I, I will be king / And you, you will be queen”, Heroes, 1977].

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