di Andrea Marinelli (corriere.it, 11 novembre 2019)
I Seattle Sounders hanno vinto la finale della Major League Soccer (Mls), sconfiggendo Toronto per 3-1 in quella che si è imposta negli ultimi anni come una sfida classica del calcio americano: domenica 10 novembre si è disputata la terza finale in quattro anni fra le due squadre, che finora avevano portato a casa una vittoria per parte.
Nel 2016 i Sounders vinsero 5-4 ai rigori, l’anno successivo si impose Toronto (con in campo l’italiano Sebastian Giovinco) per 2-0. La bella è andata alla squadra dello Stato di Washington, che ha anche segnato i suoi primi gol in una finale: dopo l’autorete in avvio di ripresa di Justin Morrow (che nel 2016 sbagliò il rigore decisivo), nel finale hanno arrotondato Victor Rodriguez e Raul Ruidiaz, prima del gol della bandiera segnato da Jozy Altidore nel recupero.
Nonostante l’arrivo negli ultimi anni di ottimi giocatori nel pieno della carriera — come il messicano Carlos Vela ai Los Angeles Fc o il Pity Martinez agli Atlanta United, non a caso le due grandi favorite quest’anno – il livello tecnico non è ancora quello dei grandi campionati europei, ma al 24esimo anno di vita la Mls ha ormai sviluppato una tradizione e, soprattutto, una narrativa. Seattle è una delle storie di maggior successo — sportivo e sociale — ed è un po’ l’epicentro del movimento calcistico americano: da quando nel 2009 è entrata nella lega, ha stabilito per otto anni di fila il record di spettatori, con medie stagionali anche di 44mila. Solo gli Atlanta United, campioni lo scorso anno, hanno fatto di meglio dal 2017 a oggi. Questo perché, nel cuore degli sportivi locali, i Sounders hanno preso il posto degli amatissimi Seattle SuperSonics, la squadra di Basket che Howard Schultz — ex amministratore delegato di Starbucks e allora proprietario della franchigia Nba — lasciò partire per Oklahoma City nel 2008 senza opporre resistenza.
La ferita, mai ricucita, si è riaperta quest’anno, quando Schultz ha cominciato a valutare una candidatura alla presidenza degli Stati Uniti: tifosi ed editorialisti si sono scatenati, sostenendo che per capire la leadership dell’uomo che ha costruito il successo mondiale di Starbucks bisogna guardare a quello che combinò con i SuperSonics. «Quella storia dice parecchio di lui, di come gestisce le avversità e l’incertezza», ha scritto a marzo sul New York Times Kirk Johnson, spiegando che Schultz vendette la squadra perché il Parlamento statale non gli finanziò la costruzione di una nuova arena. «Ancora oggi a Seattle parecchie persone sono indignate e credono che sia stato un ipocrita, oppure che si sia fatto raggirare», aggiungeva, di fatto mettendo un macigno sulla sua candidatura da indipendente. Qualche settimana prima, cercando di cacciare l’elefante dalla stanza, Schultz aveva provato a dare la sua versione dei fatti in un op-ed pubblicato sul Seattle Times. «A Seattle il mio più grande errore ancora riecheggia», aveva scritto. Ed effettivamente aveva ragione.
Politicamente, del resto, i tifosi di Seattle sono sempre stati piuttosto attivi: recentemente gli ultras dei Sounders — insieme agli acerrimi rivali dei Portland Timbers — sono stati richiamati dalla Mls perché esponevano bandiere e stendardi con le Tre Frecce, simbolo del Fronte di Ferro tedesco che si batteva contro il nazismo e fu bandito nel 1933, usato oggi dal movimento antifa, di estrema Sinistra. A Seattle e Portland i tifosi sventolavano quelle bandiere per protestare contro l’aumento dei reati d’odio e, implicitamente, contro il presidente Donald Trump, ma secondo la Mls non dovevano sorpassare il confine fra sport e politica: va bene mostrare il simbolo sulle magliette, spiegava la lega, ma non su bandiere troppo visibili all’interno dello stadio. «Il confine che molti provano a tirare fra sport e politica ormai è completamente offuscato», ha spiegato però al Washington Post Ben Carrington, professore di Sociologia alla University of Southern California, citando ad esempio il giocatore di Football Colin Kaepernick che si inginocchia(va) durante l’esecuzione dell’inno nazionale per protestare contro le violenze della polizia sugli afroamericani, o la rivolta delle calciatrici della nazionale americana che si battono per l’equità dei compensi. «Quel confine», chiarisce Carrington, «è sempre stato artificiale».
La decisione della Mls, ovviamente, ha fatto infuriare il Northwest progressista — e non solo: le Tre Frecce sono apparse negli stadi di tutto il Paese, da Washington a Orlando, da Cincinnati a Oklahoma City — e quando le due squadre si sono affrontate nel derby della Cascadia, il 23 agosto, i tifosi hanno messo in scena una protesta congiunta, organizzata dagli Emerald City Supporters e dai Gorilla Fc, gruppi ultras di Seattle, e dalla Timbers Army di Portland: trentatré minuti di silenzio e poi l’intero stadio è esploso cantando (la versione inglese di) Bella ciao. «Questi tifosi si meritano il titolo, come se lo meritano questi giocatori. Sono molto emozionato», ha dichiarato domenica sera l’allenatore Brian Schmetzer, nativo di Seattle, mentre la squadra celebrava sul prato del CenturyLink Field davanti a 69.274 spettatori: è il nuovo record di presenze per i Sounders e il secondo assoluto nella storia della lega dopo la finale dello scorso anno. Stavolta, però, i tifosi non intonavano canti partigiani ma i Queen, con We are the champions.