(ilpost.it, 6 ottobre 2019)
Sempre più politici e partiti statunitensi si stanno rivolgendo agli influencer dei social network per farsi aiutare con le proprie campagne elettorali, nel tentativo di parlare con fasce demografiche difficili da raggiungere con le tradizionali forme di comunicazione politica, principalmente quelle più giovani. Ci stanno provando per esempio i candidati alle primarie Democratiche Kamala Harris, Bernie Sanders e Andrew Yang.Può sembrare un meccanismo scontato, vista l’importanza che hanno assunto gli influencer nel marketing delle grandi aziende, ma è spesso difficile convincere a trasmettere un messaggio politico una personalità di Internet che è famosa, per esempio, per i propri cani o per le recensioni di videogiochi. Il pubblico degli influencer è quasi sempre molto vario dal punto di vista degli orientamenti politici, e li segue per altri motivi: per questo, molti influencer sono spesso restii ad esporsi politicamente. Ci sono naturalmente molte eccezioni, dagli influencer che parlano talvolta di temi sociali per inclinazione personale a quelli che hanno costruito parte della propria identità sulle opinioni.
Fare esplicitamente campagna elettorale per un politico o un partito può essere troppo, per molti influencer. Negli Stati Uniti, però, esiste un altro tipo di comunicazione politica, e cioè quella che invita le persone a registrarsi per votare. Negli Stati Uniti per partecipare alle elezioni, infatti, bisogna iscriversi agli appositi registri, ma un sacco di gente non lo fa – l’astensionismo è tra i più alti in Occidente – e nelle settimane precedenti alle elezioni ci sono sempre estese campagne per ricordare alla gente di preoccuparsene per tempo. Può sembrare un tipo di messaggio neutro: votare è importante quindi fatelo, non importa per chi. In realtà da sempre i comitati elettorali sfruttano – legittimamente – questo tipo di messaggio per il proprio tornaconto, cercando di insistere sulla registrazione elettorale di quelle fasce di popolazione in cui sanno di andare meglio degli avversari. Il Partito Democratico, per esempio, promuove campagne di questo tipo tra le minoranze etniche; il Partito Repubblicano – che in generale lo fa meno – nelle zone rurali.
Un messaggio di questo tipo è più facile da appaltare agli influencer, che costano meno e che possono essere più convincenti degli spot televisivi: e le agenzie di comunicazione politica stanno cominciando anche a ingaggiare microinfluencer, cioè le personalità dei social – soprattutto di Instagram – con un numero di follower nell’ordine di poche decine di migliaia, ma con un pubblico selezionato e fedele. Sono particolarmente efficaci soprattutto in occasione delle elezioni locali, come per esempio quelle tenute poche settimane fa per il 9° seggio congressuale del North Carolina, occasione per cui sono stati fatti esperimenti di questo tipo dal Partito Democratico, ha raccontato il Wall Street Journal.
«Dobbiamo raggiungere tutte le aree della vita delle persone, per essere abbastanza convincenti per fare il lavoro che facciamo. Da tempo crediamo che l’umorismo e i discorsi ispirazionali siano il modo di raggiungere queste fasce più giovani», ha spiegato il capo di NextGen America, un’organizzazione che si è occupata di gestire alcuni influencer per la campagna in North Carolina. NextGen America ha lavorato anche in Wisconsin, dove ha contattato 115 account individuati tra quelli con un certo numero di follower e che geolocalizzassero i loro post nelle aree di Milwaukee e Madison. Tra questi, 19 hanno accettato di postare contenuti sulle elezioni, raggiungendo un pubblico complessivo di 227mila persone. Uno di questi account era, per esempio, quello di un cane, Shiba, con poco più di 3mila follower.
Per coinvolgere gli influencer spesso bastano compensi molto bassi, se paragonati ai monumentali budget delle campagne elettorali americane. Harris, per esempio, ha chiesto a varie piccole celebrità di YouTube di sostenerla in cambio di un invito ad alcuni eventi o di qualche t-shirt della campagna elettorale. Un’agenzia che lavora per Yang ha pagato alcuni specialisti per creare meme sulla sua proposta di una specie di reddito di cittadinanza, mentre Sanders ha coinvolto anche personalità famose su Twitch, la piattaforma di video in streaming dedicata ai videogiocatori. Il Partito Repubblicano, dice il Wall Street Journal, ha invece organizzato delle specie di corsi di social media dedicati alle celebrità emergenti di Internet, invitando, per esempio, vari influencer di origine ispanica che hanno un certo seguito nelle loro comunità per discutere delle strategie da adottare per fare campagna elettorale tra il loro pubblico.
Non è una cosa del tutto nuova, comunque: già per la campagna elettorale delle presidenziali del 2016 alcune agenzie avevano lavorato con degli youtuber per produrre contenuti che invitassero le persone a registrarsi per votare. Ma ciononostante non esistono ancora regole e leggi precise: attualmente è previsto che gli influencer scrivano esplicitamente quando un contenuto è sponsorizzato da un’azienda, anche se spesso questo obbligo viene disatteso. NextGen ha raccontato però al New York Times che quando l’account Instagram di un cane chiese 750 dollari per due contenuti politici, l’agenzia consultò gli avvocati per capire se fosse necessario che la pagina includesse un disclaimer nei propri post. Dato che il messaggio invitava semplicemente a registrarsi per votare, senza indicare un politico preciso, gli avvocati conclusero che non era necessario.