di Ilaria Betti (huffingtonpost.it, 20 ottobre 2019)
«Parte tutto dalla consapevolezza che ognuno ha della propria identità. Così fanno i reali e così possono fare tutti». Secondo Danilo Venturi, direttore del Polimoda, prestigiosa scuola di moda privata di Firenze, i membri della Royal Family hanno – ancora – molto da insegnarci in fatto di stile. Ad esempio, possono aiutarci a capire come costruire un armadio che duri nel tempo. Qualcosa che non siamo più capaci di immaginare, dato che abbiamo smarrito la nostra identità.
I membri della Royal Family, invece, sanno bene chi sono. Possono permettersi anche di rinunciare al grande stilista di turno e osare con abiti low cost, senza per questo snaturarsi. È il caso di Kate Middleton: da quando è diventata moglie del principe William ha sfoggiato senza timore abiti di Zara e di Topshop, catene simbolo del fast fashion, e ha riciclato outfit già visti (anche per occasioni importanti). Si è fatta conoscere per il suo stile sobrio ed elegante, che raramente cede alla griffe evidente. Recentemente, però, ad un look autunnale – sofisticato, ma dal prezzo abbordabile – ha abbinato una borsa di Chanel del costo di circa 3.000 euro. Che sia un messaggio contro la moda “mordi e fuggi”?
«La borsa» spiega Danilo Venturi «è per una donna qualcosa di estremamente personale perché il rapporto con questo oggetto è sia fisico sia psicologico, sia pratico sia simbolico. La borsa è anche uno degli accessori più griffati dai brand, quasi come fosse un tatuaggio sul corpo di chi la porta. Segna un’appartenenza, il ricordo di un’altra persona, di un avvenimento o di un intero periodo della propria vita. Può essere un regalo, un raptus, un feticcio, la segnalazione di uno status o una dichiarazione d’intenti, più o meno consapevole. Perciò, che dietro quella borsa di Chanel si nasconda una manifestazione contro il fenomeno del fast fashion è solo una delle tante possibilità. Diciamo però che se quello fosse stato un intento ponderato oltre che consapevole, in particolare contro il fast fashion, la Middleton avrebbe potuto indossare una Hermès prima di una Chanel. Sarebbe stato un messaggio ancor più radicale».
Se è vero che gli abiti indossati dai reali veicolano sempre dei messaggi, è giusto che vengano “sponsorizzati” vestiti provenienti dal mondo del fast fashion?
«La moda può essere fast, slow, middle o Middleton, ma prima di tutto è Kate, cioè un fatto personale. Ognuno indossa quel che vuole. Poi certo, la moda è anche un fatto sociale e la famiglia reale ne è consapevole. Da questo punto di vista possiamo facilmente affermare che statisticamente il fast fashion è meno sostenibile a livello umano e ambientale rispetto allo slow fashion, ma questa equazione non è scontata, dipende da come si produce, distribuisce e consuma il capo. Un oggetto può anche essere prodotto in modo slow e consumato in modo fast o un oggetto fast può essere fatto di materiali sostenibili e uno slow invece no. Dipende dalla coscienza di chi produce, di chi distribuisce e di chi consuma. Inoltre, il rapporto tra abito e società non si esaurisce nella filiera ma coinvolge anche la situazione contingente di chi lo indossa. Poniamo che una donna viva sola, sia disoccupata e abbia dei figli a carico: ce la sentiamo di accusarla di aver acquistato fast fashion per sé e i suoi figli? E se la Middleton fosse così consapevole da schierarsi dalla parte di chi si trova in questa condizione, ce la sentiremmo di dire che come membro della famiglia reale non dovrebbe farlo? Questi sono i paradossi che rendono magica la moda, qualcosa di molto complesso pur stando sempre in superficie».
Come influenzano le scelte di stile delle masse i componenti della famiglia reale? Il modo di vestire dei reali potrebbe in qualche modo contribuire ad accendere un nuovo interesse per la moda “slow”?
«I reali hanno sempre influenzato le masse, prima di tutto perché sono una scorciatoia nel processo di identificazione tra Stato e popolo, poi perché sono una famiglia, cioè un gruppo primario di organizzazione sociale che tutti viviamo, indipendentemente da come si compone la nostra. Dietro a questo processo c’è anche qualcosa di fiabesco e romantico che colpisce le persone nel loro intimo, a livello ancestrale. Difatti, l’origine dell’organizzazione sociale rappresenta per l’inconscio collettivo ciò che l’infanzia rappresenta per l’inconscio individuale. Detto questo, la capacità della famiglia reale di influenzare le masse non è più “top down”, così come il potere dei reali non è più assoluto, ma dipende anche dalla sua sintonia con lo spirito del tempo, il sistema di valori e sentimenti che caratterizza il senso comune in un dato momento storico. Questi valori si ritrovano anche nell’arte, nella tecnologia e in modo più evidente nella moda. L’aveva capito anche Lady D. Per certi versi la moda è lo strumento più efficace in quanto completo, diffuso e comprensibile per un giovane della famiglia reale che voglia trovare una nuova sintonia con un popolo non più suddito. A quel punto certamente un reale può anche contribuire ad alimentare il sentire comune verso valori come l’inclusività, la sostenibilità e l’autenticità, se questo s’intende per moda “slow”».
Parlando di slow fashion, Kate Middleton è stata spesso appellata come maestra del riciclo. Ultimamente ha fatto indossare a Louis una maglia che era già stata indossata da Harry bambino. Cosa può insegnarci questa pratica? Il “riciclo” è una novità per i reali oppure era già praticato in passato?
«Beh, la corona è ereditaria, passa di generazione in generazione e nel farlo è molto “slow”. Perciò direi che questa non è una pratica usata anche dalla famiglia reale, ma della quale la famiglia reale è simbolo e incarnazione. Certo, può stupire che ad essere tramandata in questo caso sia una maglietta, oggetto non così nobile come la corona, anzi usata, vissuta… sudata. Ricordiamoci però che la forza dell’usato risiede proprio in questo senso di sopra-vissuto. L’eroe, il guerriero, l’imperatore, sono tutti archetipi che stanno dietro alla regalità. Il gesto di Kate sembra moderno ma è molto antico, sembra contemporaneo e trasgressivo, ma è estremamente conservativo e va indietro alle origini dell’umanità. È una simbologia che troviamo anche in altri ambiti. Per esempio, quando i calciatori dopo una partita si scambiano la maglietta in realtà stanno rendendo onore al gladiatore avverso indossandone la seconda pelle. Ora, non sappiamo se Kate abbia compiuto il gesto della maglietta con questo livello di consapevolezza, ma come direbbero gli inglesi, “she nailed it”, ha fatto centro, perché ha creato un legame profondo tra passato, presente e futuro. Se vogliamo invece dare a questo gesto un senso legato alla sostenibilità, allora dobbiamo ricordare che le tecniche sono principalmente tre: refuse (non consumare), reuse (vestire l’usato), recycle (riciclare i materiali di base per creare nuovi oggetti). In questo caso Kate ha usato la seconda tecnica e non ancora la terza, che invece richiede un processo industriale».
Lo stile dei reali sembra essere senza tempo: come si costruisce uno stile “intramontabile”? E come potremmo ricrearlo anche nel nostro armadio?
«Parte tutto dalla consapevolezza che ognuno ha della propria identità. Così fanno i reali e così possono fare tutti. Partiamo dal caso limite opposto: se acquistiamo online capi e accessori di poco valore, ci facciamo due foto, le postiamo sui social e poi facciamo il reso, è perché non sappiamo bene chi siamo, andiamo per tentativi e cerchiamo consenso nei click degli altri. Si tratta di un inquinamento mentale, spesso indotto, che produce a sua volta inquinamento ambientale. Oggi non siamo più solo quello che siamo, o quello che abbiamo, ma siamo anche quello che buttiamo (o rendiamo). Da più di un anno fotografo gli oggetti personali e i capi che la gente abbandona per strada, spesso in shopping bag griffate. Ho chiamato questo album Separate Collection, un ironico gioco di parole che fa riferimento alla collezione di moda, ma anche alla raccolta differenziata, come si dice in inglese. Separate Collection è stato anche il tema di una sfilata Polimoda, dove il messaggio ultimo era appunto: per sapere chi sei devi prima sapere chi non sei. Devi perciò evitare di acquistare e indossare le cose che non ti rappresentano in modo vero e profondo. Può essere preso anche come un gioco, un esperimento divertente. Ma è una cosa seria, perché alla fine di questo processo il nostro armadio sarà composto solo di cose che stanno bene insieme e che veramente valgono qualcosa, intrinsecamente e affettivamente. Infatti il passaggio successivo è rimpiazzare le cose non di qualità con le loro versioni di qualità, più durevoli per noi e meno inquinanti per il mondo, già anche per il solo fatto che non ci verrà voglia di sbarazzarcene. Il nostro guardaroba sembrerà intramontabile perché sarà fatto di cose diverse ma che stanno bene insieme perché hanno un’anima, la nostra, cose che potremo comporre ogni giorno in modo diverso pur rimanendo sempre noi stessi. Questo è un processo “slow”, richiede impegno, ma alla fine decisamente appagante perché parla veramente di noi: Tell Me About You, citando non a caso il tema di un’altra nostra sfilata».