di Marta Allevato (agi.it, 24 luglio 2019)
Nato a New York il 19 giugno 1964 da genitori inglesi, Alexander Boris de Pfeffel Johnson, da sempre chiamato in famiglia semplicemente Al, trascorre l’infanzia tra il Regno Unito e gli Usa cambiando casa trentadue volte in quattordici anni. Si stabilisce a Bruxelles, dove il padre Stanley, che negli Stati Uniti lavorava alla Banca mondiale, diventa funzionario della Commissione europea.La madre Charlotte, una pittrice di talento, lo incoraggia a sviluppare il suo lato artistico, ma il padre riesce a inculcare in famiglia, a tutti e quattro i figli, una ipercompetitività che spinge Al ad aspirare ad essere “re del mondo”, non importa a quale prezzo. Nel più esclusivo college di Inghilterra, Eton, finisce sotto tiro per le sue origini turche e il suo passato a Bruxelles. Per difendersi, inizia ad affinare una personalità eccentrica e sceglie di farsi chiamare solo “Boris”.
La carriera giornalistica
Intelligente ma con “atteggiamento sprezzante”, come ricorda il Guardian, fa infuriare il corpo docente. Appena si laurea a Oxford nel 1987, sposa la bella e ricca Allegra Mostyn-Owen e tramite le conoscenze della sua famiglia s’inserisce nel mondo del giornalismo, guadagnandosi la fama di euroscettico nelle vesti di corrispondente da Bruxelles del Daily Telegraph (1989-1994), dopo un praticantato a The Times, dove viene messo alla porta nel 1987 per aver inventato parti di un’intervista. A trentacinque anni diventa direttore del settimanale conservatore The Spectator (1999-2005).
Con Jacques Delors presidente della Commissione europea, Johnson si eleva tra le voci critiche: c’è chi continua ad accusarlo di giornalismo inattendibile, ma irrompe nel dibattito politico britannico in modo influente, accentuando le divisioni tra europeisti ed euroscettici all’interno del partito conservatore. Alla fine degli anni Novanta acquista fama di personaggio televisivo, con i primi inviti alla trasmissione Have I got news for you. BoJo mira poi a monetizzare in politica la sua celebrità sul piccolo schermo e, nel 2001, diventa deputato Tory per il collegio di Henley, promettendo di lasciare lo Spectator, cosa che non farà per altri quattro anni. Nel frattempo si sposa la seconda volta, con Marina, che finisce per tradire, guadagnandosi il soprannome di “Sextator”.
L’ascesa politica
Aspira presto a scalare le fila del partito, ma la sua ambizione viene frustrata dall’elezione a leader dei Tory di David Cameron, suo ex compagno di college a Eton. Mantiene la poltrona di sindaco di Londra, tra mille polemiche, per due mandati dal 2008 al 2016, con le Olimpiadi a dargli una vetrina internazionale. Boris il rosso, ecologista, filo-Europa e anti-Trump, ritorna alla sua vecchia versione di sé, ammiccando all’ala destra del partito conservatore.
Nel 2016 scrive i due famosi editoriali, uno a favore e uno contro la Brexit, ma appare subito chiaro che il modo migliore per sbaragliare il rivale Cameron, schieratosi per il Remain nel referendum, è sostenere il fronte del Leave. Porta avanti una campagna aggressiva per l’uscita dalla Ue, distorcendo cifre e fatti a favore delle sue posizioni. Dopo la vittoria del Sì sembra voler diventare premier, ma quando il suo compagno Michael Gove lo definisce inadatto a guidare il Paese le sue speranze svaniscono e al potere sale Theresa May.
Nella sorpresa generale, la nuova premier lo nomina ministro degli Esteri nonostante l’evidente antipatia reciproca. Durante il suo incarico, fa dichiarazioni avventate che portano all’estensione della detenzione in Iran della giovane britannico-iraniana Nazanin Zhagari-Ratcliffe. Nel 2018 si dimette, per protesta contro l’accordo di Brexit negoziato da May con la Ue. Nell’ultimo anno guadagna l’appoggio del presidente americano Donald Trump, che lo definisce più volte la persona migliore per diventare primo ministro. Domani s’insedierà al numero 10 di Downing Street e si capirà presto quanto i due leader abbiano in comune, oltre al gusto per pettinature peculiari.