Da Pechino al Cairo la stampa è libera se la ascolti. Su Spotify

di Giulia Torlone («Il Venerdì di Repubblica», 18 maggio 2018)

«Aveva solo diciassette anni quando è stato sorpreso a rubare / Arrestato senza nessuna possibilità / Cos’è successo in prigione? Che hanno fatto a quel ragazzo?». Suona così il ritornello di When Did Do Dang Die, canzone vietnamita che da qualche mese è disponibile su Spotify e altre piattaforme di musica in streaming, contenuta in The Uncensored Playlist, la playlist non censurata.The-Uncensored-PlaylistL’album è un unicum stravagante, perché gli autori sono “pop-star” improvvisate. Si tratta infatti di dieci tracce scritte e interpretate da cinque giornalisti di Paesi in cui c’è una severa censura sulla stampa e sul Web.

Il primo a essere stato coinvolto in questo progetto a metà tra pop e giornalismo di denuncia è Chang Ping, accusato dal governo cinese di «promuovere una visione capitalista della stampa» dopo aver intervistato il cantante Cui Jian sulle difficoltà di manifestare il dissenso del Paese. Esiliato dal Paese, in Germania Ping continua a scrivere sulle violazioni dei diritti umani del governo cinese. E ora sbarca nel mondo pop con The Uncensored Playlist, opera di Reporters Without Borders Germany e l’agenzia di comunicazione Ddb Berlin.

Tra le mura dell’ufficio della Ddb, i creativi Patrik Lenhart e Marco Lemcke si sono chiesti: come aggirare la censura in Paesi dove anche i social network e i motori di ricerca sono banditi? Sfruttando le piattaforme musicali che sfuggono ai divieti. Così i cinque giornalisti cantano dieci dei loro articoli censurati e lanciano l’album sui più grandi siti: da Spotify a Apple Music. E ora sembra interessata anche Amazon.

Dopo la Cina di Chang Ping c’è il Vietnam di Buôn Gió con i versi sulle violenze della polizia, mentre il brano Dear Mr. President racconta l’Uzbekistan («Ciao caro signor Presidente / devo ancora qualcosa ai tuoi uomini / altrimenti mi strozzeranno»). Dalla Thailandia una giovane blogger canta dell’esodo verso l’Europa dei connazionali perseguitati, mentre l’Egitto di al-Sisi diventa un gigantesco Hunger Games.

Non tutti i giornalisti coinvolti vivono in esilio e The Uncensored Playlist è per loro l’unico strumento per denunciare su larga scala le vessazioni personali. In alcune di queste nazioni si rischia la tortura e il carcere per un articolo o un post su Facebook. E se la censura si abbattesse anche su questa playlist? Impossibile, dicono gli esperti. Per fermare i download bisognerebbe bloccare gli interi siti e le canzoni già scaricate ormai sono impossibili da fermare.

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