di Francesco Russo (agi.it, 19 ottobre 2018)
Lega e MoVimento 5 Stelle hanno portato il cambiamento anche nel mondo della comunicazione politica. Basta comunicati stampa e indiscrezioni mirate: Matteo Salvini e Luigi Di Maio si rivolgono a elettori e simpatizzanti direttamente dai propri profili social, con dirette video e dichiarazioni lampo.I cronisti possono solo sincerarsi di avere le notifiche giuste e di tenere sempre aperti i propri account, pur consci che quando i primi lanci di agenzia saranno andati in Rete già centinaia di seguaci avranno commentato e condiviso. Tanta disintermediazione, che cambia dinamiche e scopi del giornalismo, ha però di fronte a sé un ostacolo molto difficile da aggirare: le migliaia di persone incapaci di distinguere i profili ufficiali da quelli parodistici. In principio fu Arfio Marchini, parodia di Alfio Marchini. Il fotogenico imprenditore – che venne lanciato due anni fa da Berlusconi al Campidoglio per sabotare la corsa di Giorgia Meloni, una volta saltata l’ipotesi di una candidatura unitaria della coalizione – fu tributato con una pagina parodistica dedita a satireggiare sulle vicende politiche dell’Urbe. Quella “r” vernacolare a sostituire la “l” non bastò a far capire a tutti che si trattava di uno scherzo. Elettori di centrodestra commentarono inviperiti per la doppia candidatura che avrebbe regalato il Comune a Virginia Raggi; sostenitori innalzavano peana all’uomo che ritenevano la figura giusta per rilanciare Roma; i più si limitavano a leggere increduli tali commenti.
Da Saolini a Fusaro, quando il “bias di conferma” colpisce
Nei mesi successivi gli account-parodia dei politici più popolari si moltiplicarono, sia su Facebook sia su Twitter. Alcuni, come Renzo Mattei o Giorgia Mecojoni, piuttosto inequivocabili. Altri abbastanza ambigui, almeno nella denominazione, da poter trarre in inganno, di primo acchito, un po’ tutti. Come quelli dedicati ai maggiorenti del MoVimento, con una sola lettera cambiata rispetto all’originale. Alessandro Di Batista, Verginia Raggi e Luigi di Majo. Si tratta però di casi differenti dagli exploit di un Gian Marco Saolini, il cui obiettivo esplicito è ingannare i navigatori più ottusi vedendo fino a che punto la si può sparare grossa venendo comunque presi sul serio (uno su tutti: il marinaio della nave Ong Aquarius costretto a preparare cocktail ai migranti), superando i confini dell’abuso della credulità popolare. Così come è una faccenda diversa la recente burla del filosofo Diego Fusaro, la cui fidanzata annunciò a La Zanzara l’imminente matrimonio al quale sarebbe arrivata illibata, giacché il suo uomo trascorrerebbe tutto il giorno a leggere Hegel, indifferente alle grazie dell’amata. Ad ascoltare la trasmissione, il tono faceto era abbastanza evidente. Presumibilmente per promuovere il suo ultimo libro dedicato alla famiglia tradizionale, Fusaro aveva giocato sulla sua immagine pubblica, spesso esagerata ad arte. Decine di testate, non sempre con il beneficio del dubbio, rilanciarono l’intervista prendendola sul serio. E migliaia di persone si accanirono sulle reti sociali per dileggiare senza capire di essere stati dileggiati. In questi casi si parla di “bias di conferma”: si interpreta quello che si legge anche fraintendendolo in modo clamoroso pur di far sì che confermi i propri pregiudizi. Se sono convinto che i richiedenti asilo godano di privilegi inusitati e vengano sempre e comunque “prima degli italiani”, riterrò verosimile che trascorressero le giornate sull’Aquarius a sbevazzare e a giocare d’azzardo. E così via. Certo, ciò non spiega altri casi davvero ingiustificabili, come quello del “Gianni Morandi malvagio”, altra pagina Facebook gestita da Saolini, dove il celebre cantante viene ritratto come un satanista dedito al death metal e alla coprofagia. Anche qua: centinaia di persone che pensano sul serio di trovarsi di fronte all’autore di C’era un ragazzo che come me. Per non parlare di chi commenta i post tra Céline e Lovecraft del finto Fabio Fazio (una delle migliori pagine satiriche italiane) lamentandosi del ricco contratto Rai incassato dal (vero) conduttore.
Come “Di Majo” diventò “non ufficiale”
Non è però il caso della finta Raggi, del finto Dibba e del finto Di Maio. Queste pagine, che appaiono gestite dallo stesso amministratore, hanno scritto nell’url “parodypage”. Il fine non è quindi lanciarsi in esperimenti sociali ai limiti dell’irresponsabilità ma, semplicemente, fare satira. Nonostante ciò, la maggior parte degli utenti le prende sul serio. Sia i sostenitori più sprovveduti del MoVimento, che prendono tutto alla lettera come i comunisti del Candido di Guareschi, sia i detrattori fanatici, i quali considerano Di Maio e Di Battista così imbecilli da ritenere realistico che vogliano “tagliare le pensioni d’oro da 700 euro” o “organizzare corsi intensivi di onestà” per recuperare i malfattori guatemaltechi. Anche qua: “bias di conferma”. Nel caso della pagina parodistica di Di Maio è però avvenuto qualcosa di inedito. Una pioggia di segnalazioni, molte giunte da utenti che ritenevano possibile fonti di equivoci una pagina esplicitamente comica, ha costretto l’amministratore a ribattezzare la pagina “Non ufficiale: Luigi Di Majo” pena la cancellazione. Si fosse trattato di una pagina “seria” gestita da un sostenitore (molti politici ne hanno), la specifica sarebbe stata sacrosanta. Ma come può esserci un “Di Majo” non ufficiale se quello ufficiale è una parodia? La faccenda è stata spiegata nel seguente post.
Secondo l’amministratore, addirittura “il 90% delle persone non si è reso conto che la pagina non appartenesse al vero Luigi Di Maio”, ciò “nonostante l’assurdità e la surrealtà dei post (Gratta e Vinci nelle scuole, tagli alle pensioni d’oro da 700 €, la love-story con Virginia (anzi, Verginia) Raggi, etc.”. Le segnalazioni di persone “che ritenevano fosse opportuno far chiudere la pagina, poiché sbeffeggiava il Movimento 5 Stelle”, sarebbero state “oltre 10 mila”. Va quindi sottolineato che, laddove una certa vulgata social vuole che siano sempre e comunque i grillini a bersi qualsiasi cosa, qua gli “analfabeti funzionali” di turno sembrano essere stati i detrattori, che hanno condiviso i post prendendoli per veri e usandoli per attaccare il M5S.
Una battaglia persa in partenza?
“Stanotte Facebook all’improvviso mi ha comunicato che il nome della pagina sarebbe stato modificato in modo arbitrario, con l’aggiunta della dicitura ‘Non ufficiale’ affiancata al nome ‘Di Majo’. Avrei potuto rinunciare alla modifica perdendo però così la pagina e tutti i contenuti”, prosegue il post, “volevo rendere pubblico questo fatto, perché è la prima volta che Facebook adotta una soluzione del genere nei confronti di una pagina fake che già si era premunita di specificare che non fosse l’originale”. “Bisogna tenere sempre bene in mente che le persone che hanno scambiato questa pagina come reale (nonostante i 3 diversi avvisi) posseggono il diritto di voto, e il loro voto conta quanto il mio e quanto il vostro”, aggiunge l’amministratore. Certe battaglie sembrano però perse in partenza. Due post più sotto, la finta “Verginia” Raggi commenta: “Amore, ma stasera non dovevamo fare quello che sai? Stai rimandando di sera in sera…”. Un utente commenta: “bravissima oltre che bella ed intraprendente”. Un simpatizzante di scarso spirito o un buontempone che prosegue il gioco? Non lo sapremo mai. Sono i social network, bellezza. Dove gli “strati di ironia” a volte sono talmente tanti da ingannare chiunque.