Il duce è tornato? Non se n’è mai andato

di Antonio D’Orrico («Sette», suppl. al «Corriere della Sera», 27 settembre 2018)

Tanti mi chiedono (come si chiede al dottore: «Ho male qui, che medicina mi consiglia?») qual è il libro che meglio racconta l’Italia di oggi. Stanotte, dopo aver finito M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati, ho trovato la risposta.MLeggete questo «romanzo documentario», basato cioè su fonti vere, dove Benito Mussolini narra in prima persona la fondazione e l’andata al potere del fascismo fino all’assassinio Matteotti (il deputato socialista ucciso dagli squadristi del duce nel 1924). Una volta si sarebbe detto che sono storie conosciute. Non credo si possa più dire. Scurati ha il grande merito di ridare forza e novità a quelle antiche vicende grazie allo splendido linguaggio di cui dota il suo Mussolini. Anche nella verità storica il dittatore possedeva un linguaggio magnifico, motivo non secondario del suo successo. Per dire che portata hanno avuto gli effetti della sua eloquenza (e magniloquenza), basta pensare che tuttora la maggioranza degli italiani usa la parola “bagnasciuga” nell’accezione errata adoperata da Mussolini in un suo celebre slogan (di gusto e di retorica quasi churchilliani). Il duce coniò neologismi e modi di dire passati nel linguaggio comune (mi vengono in mente solo altri tre personaggi capaci di fare lo stesso: Gabriele D’Annunzio, Gianni Brera e Mogol). Scurati non denuncia in stile Anpi un ritorno del fascismo ai nostri giorni. Il suo ragionamento è più sottile e profondo (quasi astorico più che storico). Mussolini non fondò solo il fascismo, fondò anche gli italiani. Quello che auspicava il marchese d’Azeglio alla fine del Risorgimento («Fatta l’Italia, bisogna fare gli italiani»), il duce lo mise in atto. Leggendo M si ha spesso il sospetto che l’autore abbia truccato le carte mettendo in bocca al protagonista pensieri e parole d’ordine attuali. È vero esattamente il contrario: oggi in Italia molti (la maggioranza, a quanto pare) parlano la lingua del duce. In un recente film satirico, Sono tornato, si immagina Mussolini che ripiomba nell’Italia contemporanea e il suo disappunto di fronte a comportamenti all’opposto di quelli che aveva predicato. M. Il figlio del secolo prospetta senza satira una situazione rovesciata: oggi il duce si riconoscerebbe in molte cose. Il romanzo di Scurati non è un divertissement. Non è una denuncia diventata rituale quando in Italia qualcuno sale al potere accompagnato da grande favore popolare (Berlusconi, ecc. ecc.). Non è nemmeno l’allarme che si lancia ogni tanto davanti a riproposizioni, più o meno folcloristiche, del fascismo. La sua analisi non nasce da preoccupazioni di parte, da logiche di schieramento politico, è un’analisi scientifica, neutrale: l’analisi del sangue di una nazione. M è un romanzo importante che racconta come se fosse nuova una storia vecchia rendendola una storia di sempre, un classico. Scurati ha scritto un libro di libera intelligenza. Ce n’era bisogno. Lo raccomando ai lettori desiderosi di capirci e capirsi meglio. Assieme magari, per condire con un po’ di ironia, al travolgente manuale che Fruttero & Lucentini scrissero negli anni Ottanta e Novanta: la loro «rispettabile se non esauriente “Trilogia del cretino”», composta da La prevalenza del cretino, La manutenzione del sorriso e Il ritorno del cretino. Leggeteli e l’Italia 2018 (e forse non solo l’Italia) non avrà più segreti per voi.

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