di Andrea Coccia (linkiesta.it, 22 giugno 2018)
Chi bazzica un po’ il mondo dell’informatica, in Jaron Lanier ci sarà già incappato più di una volta. Informatico, giornalista, saggista, recitano le quarte di copertina di tutti i suoi libri, compreso quest’ultimo, Dieci ragioni per cancellare subito i tuoi account social.Un pamphlet appena edito dal Saggiatore che, come si evince dal titolo, non nasconde nemmeno per un attimo la sua tesi di fondo: i social network, per lo meno nella loro versione attuale, ci stanno facendo del male. Apparentemente riduzionista e tagliata con l’accetta, però, questa invettiva contro i social network di Lanier in 10 puntate non ha nulla di luddista o di antitecnologico. E come potrebbe? Lanier resta pur sempre uno che per lavoro sviluppa software. L’ha fatto per Google, ora lo fa per Microsoft, è il pioniere della realtà virtuale da trent’anni ed è di fatto uno dei più influenti pensatori contemporanei della Silicon Valley. Nemmeno troppo nascosto nel flusso del discorso di Lanier, rapido, colloquiale, che poco o niente indugia sull’eleganza formale e che va direttamente al sodo senza troppi giri di parole, c’è un concetto di cui abbiamo assoluto bisogno per affrontare gli anni che abbiamo davanti, durante i quali potranno anche cambiare i nomi e gli algoritmi delle piattaforme social come si alternano i re e le regine, ma che, se non cambiano le cose, saranno con tutta probabilità anni complicati e violenti, anni in cui sarà utile mantenere la lucidità. I social ti limitano la libertà di scelta, sono il principale catalizzatore della follia contemporanea, ci stanno trasformando in una manica di stronzi — sempre parole di Lanier —, stanno minando la verità, la nostra capacità di provare empatia, la nostra possibilità di essere felici, di vivere dignitosamente e persino di mantenere in piedi le nostre democrazie: questi i punti di partenza su cui Lanier costruisce il suo pamphlet. Ma attenzione, perché il discorso di Lanier o si prende in tutta la sua complessità, oppure non vale niente. Che significa? Semplice, significa che questo agile pamphlet, per quanto porti un titolo assolutamente riduzionista e banalizzante e per quanto sia spesso tendente alla cazzoneria per linguaggio e metafore (che comunque sono sempre tutte azzeccate), va letto ben oltre la sua copertina e il suo indice, perché non vuole certo essere il ditino accusatorio ideologico verso una fantomatica Luna che forse manco esiste. I social network contemporanei non sono pericolosi in sé, non è certo il concetto di network che Lanier attacca duramente, ma il modello di business su cui si poggia l’intera economia new tech occidentale: la pubblicità pervasiva, il costante tentativo di manipolazione — commerciale, sociale, politico importa veramente pochissimo — cui siamo tutti esposti. E poi un altro punto, decisivo: la dipendenza, ovvero il nemico numero uno dell’indipendenza e della emancipazione di ognuno di noi. Gli algoritmi su cui poggiano i social contemporanei — Lanier insiste spesso sull’ora e adesso, e non nasconde mai la sua speranza e ogni tanto l’ottimismo sul fatto che cambino strategie — sono costruiti nel modo sbagliato. Sono progettati per adattarsi a noi ed essere sempre più efficaci nel guidare, per non dire manipolare, i nostri comportamenti collettivi. E lo sono perché i loro clienti non siamo certo noi, quanto meno non ancora, bensì quelli che vogliono comprare la nostra attenzione e che, per raggiungere il loro obiettivo — che sia vendere più scarpe o farti votare per un partito o per un altro — sono disposti a usare qualsiasi strategia, in primis quelle messe a disposizione dalla psicologia comportamentale. In questo momento uscire dai social, sostiene Lanier, è il solo modo di poter avere con Internet un rapporto sano. «Non farai un buon uso di Internet finché non ti ci sarai confrontato alle tue condizioni, almeno per un po’», scrive. «Devi farlo per la tua integrità, non solo per salvare il mondo». E continua: «Non spetta a me cambiarti, non più di quanto spetti a una FREGATURA-company» (nella traduzione italiana è l’acronimo per indicare tutte le piattaforme di questa immensa economia, N.d.R.). Quello che invoca Lanier non è certo una guerra santa contro Facebook o Google. Il suo grido di allarme punta a risvegliare la nostra sonnacchiosa consapevolezza del cosa stiamo usando, ma anche del come ci stanno usando quando utilizziamo un social network. È su questa consapevolezza che si misura la nostra libertà, perché il mondo — scrive Lanier in una curiosa introduzione — si divide tra cani e gatti, tra chi è obbediente e prevedibile e chi invece è autonomo e imprevedibile: «Questo libro spiega come diventare gatti. Come restare autonomi in un mondo in cui siamo costantemente sorvegliati e sollecitati da algoritmi gestiti dalle più ricche corporation della Storia, la cui unica fonte di guadagno consiste nel farsi pagare per manipolare il nostro comportamento». E sarebbe difficile spiegarlo in maniera più semplice.