Il marketing della politica

di Pietro Stangalini (glistatigenerali.com, 28 giugno 2018)

Nell’epoca più massiva della società umana, dove tutto, dal turismo alla stampa, dallo sport alla musica, è massificato, è agglomerato in prodotti consumabili, non dovrebbe essere strano che anche la politica lo sia. Un prodotto consumabile non è per forza un oggetto che viene mangiato per il nutrimento, ma è anche un film visto al cinema, una gita a Firenze, qualcosa che si usa, si esperienzia e non c’è più.PolitiFact_TrumpCerto la contorsione di questa epoca post-moderna ha fatto sì che anche prodotti che non fossero consumabili lo diventassero, dando di fatto via al famigerato consumismo. Tutto passa per una compravendita e dunque è nata una scienza che studia questo rapporto, perché meglio si vende e più si fattura. Questa scienza si chiama marketing. Il suo obiettivo è studiare, creare e apportare il valore, cioè cercare di accrescere un’idea attorno ad una merce, in modo tale che si confaccia ai bisogni anche sopiti, o inesistenti, della popolazione. La Apple ne ha fatto la sua fortuna per esempio, come anche Elon Musk; per dirla alla francese “Chose qui plaît est à demi vendue” (Cosa che piace è per metà venduta). Non è un caso che abbia citato aziende recenti, perché sebbene la Storia sia ricca di personaggi che cercarono di attribuire ai loro manufatti significati ulteriori oltre a quelli oggettivamente riscontrabili, e per questo venivano chiamati senza troppe remore truffatori, l’ingegneria ha fornito strumenti straordinariamente propedeutici e sempre più potenti, dalla radio ai social network, per creare quest’opera narrativa. La facilità di propaganda ha fatto sì che le idee, le opinioni nella società di oggi siano sempre più centripete, convergenti. I social, poi, sono mezzi ancor maggiormente unificanti, agglomeranti. Appianano le varie divergenze. Pongono le persone, dalla passività del mezzo televisivo, ad un ruolo attivo; come in un becher dove avviene una celere reazione chimica, finché trova il suo equilibrio tra le varie opinioni comuni. E come rischiosissimo catalizzatore usano informazioni incontrollate, diffuse da figure di riferimento. Se aggiungiamo che su Internet è un empirico ma condiviso parere, che non si possa che litigare o andare d’accordo, scopriamo che per la prima volta una forma comunicativa, la forma di comunicazione più evoluta anzi, non unisce le persone ma le allontana, le riduce più velocemente a categorie distinte. L’uomo non rielabora più le informazioni aspettando di parlarne di persona, ma ne usufruisce subito, le consuma come cerini, sbraitando alla tastiera di uno schermo, la quale è percepita come se fosse una persona. Lo stesso dialogo, tra individui non più in carne ed ossa, è reale quanto appare reale, e ancora una volta il dato oggettivo sfuma nella percezione etichettabile. Pare straordinario che la società più istruita della Storia stia producendo dei rapporti tanto corrotti. Che più la realtà materiale ci sia conoscibile e comprensibile, più la realtà umana invece sembra sfumare e sfuggirci, se non trascendere ad odio per l’altro individuo. Difatti tutto ciò è assolutamente irrazionale. È preda di qualcosa di illogico e non della ragione. Come accade per la volontà di andar incontro alla guerra: nessuno rischierebbe la vita per uccidere un altro uomo se non ci fosse un’idea superiore alla sua vita materiale per farlo. A un certo punto, nel Settecento, il pensiero occidentale era giunto a maturità. Immanuel Kant definì l’Illuminismo proprio come la liberazione dell’uomo dal suo stato di immaturità mentale volontaria, cioè quello stato in cui l’uomo è incapace di ricorrere al proprio intelletto per risolvere i problemi della vita e deve ricorrere alla guida di altri, non per mancanza di capacità ma per codardia (sic!) e pigrizia. Questa maturità oggi sembra permeata nelle masse solo nel proprio ambiente lavorativo, mentre le convinzioni su cui basiamo le nostre opinioni ci paiono oggettive, concrete e incontrovertibili, soprattutto se gli annunci arrivano da talune bocche ed espressi in un certo modo. Abbiamo perso ogni spirito scettico perché crediamo di trovare la verità, che la verità prima o poi sia conoscibile in quanto tale; ed è qua che arriva la magia del marketing: ci crea una definizione di quella verità che noi scambiamo per i fatti; scambiamo la nostra personalissima definizione per l’oggetto in sé. Ci convinciamo davvero che l’iPhone sia il miglior telefono e Musk un genio innovatore. Ma, per fortuna, lo stesso Kant ci arriva in soccorso: la conoscenza stessa dipende dall’apprendimento, l’idea che ci facciamo su qualcosa dipende dal modo in cui ce la siamo fatta. È questo meccanismo che sfruttano i maghi del marketing, è questo meccanismo che sfruttano i politici di oggi. Creano una narrativa a cui noi poi finiamo per aderire. Offrono spiegazioni che hanno costrutti logici e ragionevoli al loro interno, ma la cui base, quando non è falsa, è irrazionale o per lo meno faziosa. Il tutto coadiuvato dall’imperante valore che la libertà di opinione sia sacra: “Non sono d’accordo con te, ma morirei perché tu possa dirlo” disse Voltaire, no? No, è falso. Un’altra “fake-news” che contribuisce a creare quest’epopea, questa epica che noi chiamiamo politica. La pericolosità di questo sistema dovrebbe essere nota a tutti, perché il primo che cavalcò la debolezza di un’Italia mutilata e arretrata economicamente fu Benito Mussolini; un vero genio della demagogia, e un po’ il nonno, nella forma, di tutti i politici attuali. E se non bastano le sue malefatte, ricordiamo che il suo compare Adolf Hitler non sarebbe mai stato lo stesso se non avesse studiato le tecniche comunicative del duce. Cosa fece Mussolini? Si creò un personaggio riconoscibile nei modi, nella parlata, quasi caricaturale perché doveva sopperire ai mezzi di massa primordiali dell’epoca. Insistette sulla debolezza dell’Italia, creando questa idea di patria tradita dai politici che l’ebbero preceduto; tradita dalla pace di Vienna; sul procinto di essere invasa dall’ideologia comunista. Creò l’idea di tornare ai fasti dell’Impero Romano. Creò in “Lνi” un nuovo conduttore che ci avrebbe ridato prestigio in Europa, dove invece eravamo stati trattati come l’ultima ruota del carro. Politici che ci hanno condotto al disagio, invasione da cui difendersi, Europa che ci bistratta, suona famigliare? La fortuna di Mussolini fu che non aveva del tutto torto, o meglio era difficile dimostrare, anche per via delle manganellate, che lo avesse, perché aveva in effetti una realtà a cui appigliarsi. Non era una fede incondizionata ad una morale o ad un dio, era fede acritica ad un uomo che offriva spiegazioni plausibili a fatti concreti. E così tutti i suoi successori attuali continuano nel solco. Il linguaggio, la rielaborazione semantica fu oltremodo importante; Orwell in 1984 stesso approfondì l’aspetto col concetto di “bispensiero”, ma la neolingua procede nell’odierno anche in assenza di dittatura. Ancora oggi il demagogo si riconosce perché all’interno del partito c’è una sola voce, la voce del partito, la voce del leader e a quel punto io voto il leader, non il partito. Voto la sua idea perché mi fido di lui, ciecamente, nell’oscurità dell’assenza di logiche critiche, ma paradossalmente nella ragionata convinzione di aderire alla narrazione dei fatti corretta. Quando compriamo, d’altronde, spendiamo il nostro voto su qualcosa che giustifichiamo convincente; ma dopo aver acquistato difficilmente poniamo in dubbio la nostra scelta, perché sarebbe come mettere in dubbio noi stessi e la nostra capacità di giudizio su una retorica di per sé già semplificata. Anche se ci starà un po’ stretta, tenderemo ad indossarla lo stesso. Nel mentre i politici, i capi, sono diventati prodotti da vendere con determinate caratteristiche ben riconoscibili. Lo stesso Trump, in America, è un prodotto. Il suo unico parrebbe, dato che i miliardi di cui tanto si vanta, su cui ha costruito la narrazione della sua figura forte e di – discutibile – successo, sembra siano gonfiati. Non 10 miliardi di dollari, ma meno di 250 milioni. Anch’egli quindi sfruttò una costruzione diversa dalla realtà per guadagnarsi prima partecipazioni televisive e infine anche la presidenza americana, con lo slogan ripetuto all’asfissia: “MAGA – Make America Great Again”. Nel frattempo mente sistematicamente, perché, come dice il sito PolitiFact, solo il 5% delle cose che afferma sono vere o il 17% parzialmente attendibili. Però è un mago, uno stregone, uno sciamano che utilizza la realtà come pietruzze e piume da agitare tra fumi inebrianti per poi gettarle sul tappeto del teepee e leggere, cioè ordinare razionalmente, un significato da comunicare alla platea. In realtà la gente in platea capisce molto bene se c’è qualcosa che non va. Lo percepisce. E difatti chiama ipocrita chi ormai da tempo non fa più gli interessi del popolo, pur pubblicizzando invece il contrario. Chi spendeva il nome della sinistra per avere l’attenzione degli oppressi si è ridotto ad una narrativa fallita. Non puoi dire che fai del bene alla cittadinanza, concedendo i diritti agli omosessuali o ai malati terminali, mentre poi approvi leggi come il Jobs Act o voti la Legge Fornero o elimini l’Articolo 18, che vanno invece a scapito dei cittadini lavoratori. Il centro democratico con un dito dava mentre con l’altra mano toglieva. Le persone, giustamente, ricercano la loro volontà nelle parole della politica, e non importa che esse siano coerenti coi problemi da affrontare, importa che convincano, e il PD non convince più. Ma il vero problema ormai è chiaro. Non è un partito piuttosto che un altro, è la mancanza di pensiero critico nei confronti della politica in generale. E in particolare verso la narrazione post-ideologica sulla quale si adagia la nostra preferenza. Questo perché confondiamo ciò che ci appare con la realtà e non dubitiamo più della fallacia della percezione; dimentichi della razionalità e ormai alla ricerca di una verità confezionata, ci accontentiamo di poco. Aggrappati al materialismo consumistico degli oggetti, abbiamo coltivato le cose e non lo spirito, causando un circolo vizioso. Una controrivoluzione copernicana. Così anche nei politici che scegliamo, essendo artifizi loro stessi, preferiamo la facilità di consumo o di approccio rispetto a una complessa adesione all’analisi politica. Ma allora che fare? Per combattere i sofismi non si può partire certo da Kant. Bisognerebbe dubitare del nostro sapere, occorrerebbe dialogare con intento critico, porre davanti alle contraddizioni noi stessi e gli altri, e apprezzare il relativismo umano. Insomma bisogna ricominciare da Socrate.

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