di Marco Sarti (linkiesta.it, 28 giugno 2018)
Sa stare in televisione e sui social network. Twitta continuamente e passa da una diretta Facebook all’altra. Semplice, spontaneo e convincente. È in campagna elettorale da almeno quattro anni, il protagonista assoluto della scena politica. Si può pensare tutto il male possibile di Matteo Salvini, ma non si possono negare le sue capacità mediatiche.Lo certifica la popolarità del vicepremier. Nel giro di poche settimane è diventato il leader italiano con il maggior indice di gradimento, mentre la Lega Nord ha quasi raddoppiato i propri consensi. Un successo iniziato alle Politiche del 4 marzo. «Mai come stavolta la campagna elettorale ha rappresentato un momento di rottura rispetto al passato», racconta Paolo Mancini, professore di Sociologia delle Comunicazioni all’Università di Perugia. Se in passato i partiti cercavano il consenso nei comizi, in tv e su Internet, ormai viviamo nell’«epoca del sistema ibrido». La Rete si è integrata con i mezzi di comunicazione tradizionali e i social network sono diventati la principale fonte di informazione per la stampa. Il leader leghista l’ha capito prima degli altri. «I tweet di Salvini hanno soppiantato il lavoro delle agenzie di stampa – insiste Mancini –. Arrivano direttamente all’elettorato». Ecco la novità introdotta nell’ultima campagna elettorale: «Bisogna essere sui social media per andare sui giornali», spiega il docente, intervenuto alla Camera dei Deputati al convegno Il potere al tempo dei social. Un appuntamento organizzato dalla società di consulenza Parlamento Solving per presentare il saggio del professor Edoardo Novelli, Le campagne elettorali in Italia, e riflettere sull’evoluzione della comunicazione politica nel nostro Paese. Dietro al boom mediatico di Salvini, secondo molti, c’è un personaggio poco noto al grande pubblico. È Luca Morisi, responsabile della comunicazione del vicepremier e vero regista della sua strategia social. Presente anche lui a Montecitorio, racconta di essersi formato come informatico e filosofo, di aver imparato tutto “sul campo”. Poi rivela alcuni segreti del successo salviniano. Le parole d’ordine sono continuità e creatività. C’è stato un tempo in cui le campagne elettorali duravano solo pochi giorni, una piccola parentesi tra una legislatura e l’altra. Oggi la vera sfida è fare propaganda senza fermarsi mai. La scena mediatica deve essere occupata perennemente: in Rete, sui media tradizionali e sul territorio. Oltre alla televisione e ai social network, infatti, il leader leghista cerca di mostrarsi di continuo tra la gente. Salvini parla ai suoi elettori usando il linguaggio del popolo. Comunica messaggi semplici, con autoironia. E una volta diventato ministro dell’Interno non ha cambiato modello. «La sua presenza mediatica – insiste Morisi – prosegue esattamente nel solco di quello che faceva prima». Lo stesso approccio populista. Pubblicare video istituzionali e paludati, magari con il Tricolore sullo sfondo, sarebbe controproducente. «Salvini fa il ministro senza perdere la sua spontaneità e il realismo». È un aspetto che si nota perfettamente durante le numerose dirette Facebook. Il segretario leghista si riprende da solo, parla, interagisce con i followers. «È il massimo della disintermediazione», continua Morisi. «A volte pubblica fotografie bruttissime, ma realistiche. Le persone percepiscono il suo intervento diretto e questo tiene alta la dimensione della confidenza con il leader». Il contatto con la gente è continuo. Basti pensare a una delle intuizioni più fortunate dell’ultima campagna elettorale: “Vinci Salvini”. Un vero e proprio concorso a premi sui social network, che metteva in palio la possibilità di prendere un caffè con il leader leghista. Marketing promozionale applicato alla politica, che ha reso ancora più popolare il messaggio del segretario leghista. Parafrasando Aristotele, Morisi definisce il vicepremier uno zoon mediatikon, un animale mediatico. «Quando nel dicembre 2013 Salvini è diventato segretario del Carroccio, in pochi ci avrebbero scommesso. La Lega era gravata da scandali, navigava intorno al 3 per cento. Insomma, un brand invendibile. E così noi abbiamo puntato sul leader. Abbiamo abbandonato dal punto di vista iconografico la vecchia simbologia della Lega Nord: cancellando un partito regionale e trasformandolo in un movimento nazionale, ma senza distruggere la sua storia». È un po’ quello che ha cercato di fare Matteo Renzi con il Partito Democratico. «Con una differenza – insiste Morisi –. Renzi ha umiliato la base tradizionale del suo partito, Salvini ha cercato di valorizzarla». Eppure Matteo Salvini non si è inventato niente. «Sono un po’ in imbarazzo», ammette il deputato di Forza Italia Antonio Palmieri. «Ma tutto quello di cui parliamo oggi, l’abbiamo inventato prima noi». Responsabile delle campagne elettorali del partito, anche lui è presente all’incontro di Montecitorio. Con tutte le differenze del caso, il vero innovatore della comunicazione politica è stato Silvio Berlusconi. La campagna elettorale permanente è una sua intuizione. Già nel 1994, per conquistare le simpatie degli italiani, il Cavaliere aveva anticipato di diverse settimane la sua discesa in campo. «Nel triennio 1998-2001 – rivela Palmieri – abbiamo organizzato un’unica, grande, campagna mediatica». Dalle Europee del 1999, passando per le Regionali del 2000, fino alle Politiche del 2001. Mesi e mesi di comunicazione, con il solo obiettivo di presentare la piattaforma programmatica del governo. «Tre anni e mezzo di campagna elettorale permanente». Sono gli anni in cui la legge limita gli spot elettorali. E così Berlusconi è costretto a reinventare vecchi strumenti di comunicazione. Improvvisamente le città italiane vengono incartate da enormi manifesti 6×3. Gli slogan più riusciti diventano oggetto di parodie e prese in giro. A Roma, per esempio, una delle ironie più diffuse sostituisce “Meno tasse per tutti” con “Meno tasse per Totti”. Da qui l’intuizione di Palmieri. Nel 2001 Forza Italia organizza un concorso di manifesti tarocchi, ospitando sul sito del partito le prese in giro più divertenti. «Ma molte di quelle parodie le avevamo inventate e diffuse noi in Rete – racconta il parlamentare –. Perché opporsi alla satira era impossibile». Intanto un’apposita giuria composta da Emilio Fede, Adriano Galliani e Peppino Prisco viene incaricata di premiare gli autori più ironici. Altro che “Vinci Salvini”. Il 28 aprile 2001 tre fortunati vengono invitati a cena da Silvio Berlusconi, che ad Arcore li premia con il “Berluskaiser”, una statuetta tipo premio Oscar. In quanto a visibilità mediatica e creatività, il Cavaliere non aveva nulla da invidiare a Salvini. Il video della discesa in campo o il contratto con gli italiani firmato in diretta tv restano nella storia politica del Paese. «Oggi sorrido quando sento parlare di Rousseau», insiste Palmieri. «Forzasilvio.it è stato il primo vero esperimento di piattaforma online a sostegno di un leader politico». Un grande network, punto di ritrovo della comunità berlusconiana, mutuato dalle campagne di Barack Obama. Ormai l’iniziativa è stata chiusa per mancanza di fondi, «ma per anni ha permesso un’interazione diretta e il coinvolgimento di centinaia di migliaia di simpatizzanti». Se oggi Salvini ha successo mediatico, il maestro è stato Berlusconi. Qualcuno osserva con stupore la versatilità del leghista, che riesce a vestire contemporaneamente i panni del leader di partito e ministro dell’Interno? «Ma non dimentichiamo i manifesti di Berlusconi con il cappello da ferroviere e il caschetto da operaio…» sorride Morisi. Semmai il problema dell’ex premier è stato un altro. La sua campagna elettorale permanente a un certo punto si è interrotta. «L’epoca in cui viviamo impone di parlare direttamente ai propri sostenitori, questo Berlusconi l’aveva capito prima di tutti» racconta Palmieri. «Ma quando siamo andati al governo, il Cavaliere ha smesso di comunicare in prima persona. È stato il nostro grande errore». Chissà. Le nuove forme di comunicazione politica nascondono altri rischi. In questi anni l’uso dissennato dei social e l’iperpresenzialismo hanno già evidenziato tutti i loro limiti. La rapida parabola di Matteo Renzi e Mario Monti, solo per fare due nomi, mette in guardia i nuovi leader. La campagna elettorale permanente offre visibilità e popolarità, ma rischia di bruciare velocemente i suoi protagonisti. Salvini è avvertito.