di Ottavio Cappellani (linkiesta.it, 17 aprile 2018)
La situazione è la seguente. Mentre ad Alessandro Di Battista viene staccato dalla Mondadori un assegno di 400mila euro per il suo libro populista, nel contempo Maurizio Belpietro, Paolo Del Debbio e Mario Giordano vengono segati dalle trasmissioni Mediaset in quanto troppo populisti.Al di là delle rassicurazioni di Mauro Crippa (direttore generale del comparto informazione di Mediaset), la faccenda desta parecchio interesse anche perché rappresenta lo specchio dell’attuale situazione politica, del ruolo di Silvio Berlusconi e degli equilibri con i quali deve avere a che fare il presidente della Repubblica Sergio Mattarella: tra due populismi manettari (Lega, Cinquestelle) e due liberalismi democratici ipergarantisti (Berlusconi e Renzi). Cerchiamo di capirci qualcosa. Da un lato Berlusconi si conferma imprenditore puro mettendo sotto contratto Dibba, che garantirebbe laute vendite. Dall’altro, e venendo meno alla sua storia personale di imprenditore volto solo (e giustamente) al profitto, opera una scelta “politica”, segando tre campioni di audience, colpevoli – è questa l’impressione – di avere portato voti alla Lega. C’è una contraddizione: perché nei confronti di Dibba la regola che vale è quella del profitto e nei confronti del trio di centrodestra la regola sarebbe quella politica? C’è qualcosa che non torna, almeno per la logica. Conviene dunque, agli occhi di Berlusconi, essere antiberlusconiano puro tendente al centrodestra ma con venature populiste? Potrebbe anche darsi. Ma questo significherebbe un odio profondo di Berlusconi nei confronti della Lega che oscurerebbe persino quello nei confronti dei Cinquestelle. E questa potrebbe essere una spiegazione. Berlusconi, cioè, rinuncerebbe all’audience di Belpietro, Del Debbio, Giordano, pur di evitare una deriva Cinquestelle-Lega all’Italia (cosa che, ne siamo certi, sia anche una delle preoccupazioni del presidente Mattarella). Dall’altro lato, invece, abbiamo un Di Battista che firma un contratto di 400mila euro con la Mondadori pur continuando a dire che «Berlusconi ha pagato la mafia», intendendo con questo che Berlusconi ha tratto profitto dal pagare la mafia, ed essendo sordo alle ragioni di chi dice: era un miliardario, era epoca dei sequestri di persone, chi non avrebbe pagato? E pagare, in quel caso, è trarre profitto o essere vittima? Seguendo la logica di Dibba, ossia che Berlusconi abbia tratto profitto dal pagare la mafia, i soldi bonificati a Dibba sarebbero soldi mafiosi. Roba stellare. La mente vacilla di fronte a queste conseguenze, che però nient’altro sono che conseguenze logiche. D’altra parte sappiamo che, oltre una certa cifra, i contratti passano attraverso le scrivanie vicine al management (leggasi Marina Berlusconi). Il management di Mondadori ha dato carta bianca a Dibba? E Dibba approfitterà di questa carta bianca? O, come sospettiamo, esiste un “gentlemen’s agreement” per cui Dibba scriverà un suo libro di viaggi sentendosi metà Che Guevara e metà Turisti per caso? E Dibba accetta soldi (a suo dire) mafiosi per avere libertà di espressione? Sono domande che ci facciamo e alle quali speriamo di avere risposte. L’opinione di chi scrive, dettata dalla logica, in attesa di smentita, è che Dibba abbia accettato i soldi di Mondadori venendo meno alle sue istanze etiche (ma sono pronto a ritrattare, qualora mi si dimostrasse il contrario); mentre Berlusconi è pronto a rinunciare alle entrate dovute alle trasmissioni del trio leghista, pur di evitare una deriva populista e un asse Lega-Cinquestelle (anche in questo caso sarei disposto a ritrattare, di fronte ad argomenti logici). La questione Dibba da un lato e Belpi, Debbi e Giordi dall’altro potrebbe dirci molto sull’attuale situazione politica. A patto di riuscire a districarcisi.