di Lidia Baratta (linkiesta.it, 8 marzo 2018)
Il femminismo va di moda. Letteralmente. Prima è toccato a Che Guevara, Bob Marley e alla linguaccia dei Rolling Stones, ora sulle T-shirt appese in vetrina spopolano frasi come “Be A Feminist”, “Girl Power”, “Girls Can Do Anything”.Dai grandi magazzini alle sfilate delle griffe, l’industria della moda ha capito che il femminismo è un brand che va sfruttato. Soprattutto dopo l’ondata di denunce per molestie e l’ascesa del movimento americano #MeToo. Altro che sciopero dell’8 marzo, cartelloni e reggiseni da bruciare, gli slogan della rivoluzione femminile ora si possono comprare per pochi euro e indossare ogni giorno sopra un bel push-up. La moda, tempio del sessismo e della bellezza magra a tutti i costi, si redime dai suoi peccati e celebra l’“empowerment” rosa. Sull’onda del #MeToo, nell’ultima settimana della moda newyorchese, le passerelle si sono popolate di magliette e camicie stringate che recitavano frasi come “We Will Not Be Silenced” o “The Future Is Female”. Uno dei primi marchi a sfruttare l’onda è stato Dior nel 2017 con la T-shirt “We All Should Be Feminist”, disegnata da Maria Grazia Chiuri. In pochi giorni la maglietta bianca è comparsa sui profili Instagram di celebrity e influencer, da Rihanna a Chiara Ferragni (che ha sua volta poi ha creato la maglietta “Feminist”). Prezzo di vendita: oltre 540 euro. E lo stesso fece lo stilista Prabal Gurung, portando sulle passerelle newyorchesi la frase usatissima dalle femministe degli anni Settanta “The Future Is Female”, stampata su una maglietta bianca vestita a pennello da Bella Hadid. Senza dimenticare la gonna vedo-non vedo completamente tempestata con la parola “Feminist” indossata da Olivia Wilde durante una puntata di Watch What Happens Live with Andy Cohen su BravoTv. O la maglia da 400 dollari “Poverty is Sexist”, scelta da Connie Britton per la serata dei Golden Globes. Dai vip ai grandi magazzini, poi, il passo è stato breve. H&M ha prodotto la sua T-shirt “The Revolution is Female”. Zara è andata più sull’introspettivo con “Feeling Good About Yourself”. Primark ha proposto la stampa “WMN PWR” (Women Power). Sottotitolo: “Never Underestimate My Power”. Tutto a soli 8 euro. Chiunque può sentirsi femminista. Il femminismo diventa così un prodotto di consumo depoliticizzato, da indossare quando si fa la spesa o si va a correre. È quella che gli esperti di marketing chiamano “commodification of feminism”, ovvero la mercificazione del femminismo. Basta poco: si prende un simbolo, o una parola, e si addomestica per vendere un prodotto. Gli slogan non sono urlati più nelle piazze, ma si indossano nella vita di tutti i giorni su magliette o gonne cui nessuno fa più caso. Niente ascelle poco depilate e donne arrabbiate. Il neofemminismo è stylish e parla a voce bassa. Nel libro We Were Feminists Once: From Riot Grrrl to CoverGirl®, The Buying and Selling of a Political Movement, Andi Zeisler, cofondatrice di Bitch Media, racconta come il femminismo si sia trasformato da messaggio politico rivoluzionario disturbante in una nuova identità commerciale “cool e divertente”. Che ovviamente non dimentica un buon make up. Perché essere neofemministe impone anche di avere sempre il trucco in ordine e niente pori dilatati, mostrandosi allo stesso tempo come donne forti, in forma e in carriera. Fino ad arrivare a estreme trovate commerciali. Dopo che l’hashtag #MeToo ha cominciato a diventare virale in Rete, il marchio di cosmetica Hard Candy ha azzardato un bel rossetto rosso con l’hashtag stampato sopra, facendo esplodere una valanga di proteste. Ma il lipstick non basta. Per essere una femminista migliore e più impegnata delle altre c’è un intero mercato, là fuori, che vi aspetta: mutande femministe (con scritto “I Love My Vagina”), copertine da divano femministe (per stare al caldo anche senza un uomo), soprammobili femministi (per ricordarsi sempre quanto si è empowered). Senza dimenticare l’infinito elenco di oggetti a forma di vagina, dagli orecchini alle tazze. Fino alle caramelle.