di Matteo Persivale (corriere.it, 25 febbraio 2018)
Nel 1993, dopo il premio Nobel che ha coronato la sua vita e la sua bibliografia straordinaria, Toni Morrison ha raccontato il momento nel quale capì che sarebbe diventata una scrittrice. Per un senso di ribellione, e di repulsione.La «violenta repulsione» che la aggredì da bambina, ascoltando una compagna di scuola spiegare come le sarebbe tanto piaciuto avere gli occhi azzurri e i capelli biondi. Molti anni dopo, Morrison scrisse il suo primo libro e lo chiamò L’occhio più azzurro (edito in Italia da Frassinelli): «Una bambina nera vuole gli occhi azzurri di una piccola bianca, e l’orrore al centro del suo desiderio è superato soltanto dalla crudeltà della sua realizzazione». O dell’impossibilità della sua realizzazione. «Chi, guardandola, l’aveva trovata così limitata, un peso così leggero sulla bilancia della bellezza?», si chiese Morrison. Ha dedicato la vita a raccontare la vita e le esperienze delle donne afroamericane, e un tema centrale di tutta la sua opera è stato proprio la rappresentazione che le donne nere fanno di sé stesse, la rappresentazione che ricevono, di sé, dai media. L’impossibilità di schiarire gli occhi e le sofferenze per stirare i capelli, schiarirli, per allontanarsi da quell’immagine nello specchio che hanno imparato a vedere come limitata, brutta, e per avvicinarsi il più possibile al modello dei bianchi. Un tema umano, letterario, e politico: che è tornato sulla scena con forza grazie a una rivoluzione, non piccola, che si è abbattuta sui cinema prima americani e poi del resto del mondo: in queste ore, il film sul supereroe nero Black Panther si appresta a superare in scioltezza la soglia del mezzo miliardo di dollari incassato (solamente negli Stati Uniti), e sarebbe un errore definire il successo della «pantera nera» come, semplicemente, una questione artistica. Hollywood è da sempre restìa ad affidare produzioni di kolossal a storie di neri raccontate da registi neri, vedi la carriera complicata di Spike Lee. E ha raschiato il fondo del barile di tutti i supereroi possibili prima di girare un film sull’unico supereroe nero, Black Panther. Doveva essere un prodotto di budget medio-alto e di successo medio, è diventato un caso globale. Lunghe file davanti ai cinema, i giornali che prendono atto che per l’eroe nero di una nazione africana inventata dai creatori del fumetto c’è un pubblico enorme, pubblico che ha preferito Black Panther a quella specie di Dream Team di supereroi di Justice League con Batman, Wonder Woman e Flash (tra gli altri) che avrebbe dovuto essere, nelle previsioni, il vero successone. Il New York Times ha pubblicato l’editoriale di una studiosa afroamericana, Tiya Miles, docente di Cultura americana e Storia alla University of Michigan, che racconta la storia del rapporto, difficile, con i suoi capelli, i tentativi comuni a tutte le donne afroamericane di domarne i ricci, i prodotti chimici, il senso di inadeguatezza, fino alla scelta di portarli nel modo più natural possibile. Per la professoressa Miles, Black Panther è più di un bel film ispirato a un fumetto: è la prova che tutte le donne del cast, con i loro capelli “afro”, sono un simbolo e una fonte di orgoglio per tantissime afroamericane che vivono difficoltosamente il rapporto con i loro capelli, e il contrasto con le immagini mediaticamente più diffuse di bellezza. Rompere l’associazione tra capelli lisci e chiari e l’idea dominante di bellezza è complicato: anche un film così popolare, che avrà certamente un seguito, può aiutare. Ecco allora che nelle gallerie d’arte vince — e rimbalza on line — la mostra Afro Art con le foto delle bambine con dei magnifici testoni di capelli “afro”, orgogliosamente ricci, che avranno indubbiamente emozionato tantissime donne nere. Ecco allora Lupita Nyong’o in Black Panther con un taglio già imitato dalle ragazze e diventato di riferimento per tanti parrucchieri. Vedere Angela Bassett con una criniera di treccine imbiancate dall’età, Letitia Wright con le trecce in libertà, Danai Gurira rasata a zero, con grinta. Vedere tutte queste attrici trionfare al botteghino magari non farà indignare un futuro premio Nobel, come accadde a Morrison. Ma farà bene a tantissime bambine che si guardano allo specchio e pregano, il giorno dopo, di svegliarsi bionde.