L’attore arriva in Laguna a presentare il suo ultimo film da regista, Suburbicon. Una commedia folle, divertente e attuale che prende di mira razzismo e «i muri di Trump». Con un Matt Damon travolgente, per la prima volta nei panni del cattivo
di Raffaella Serini (vanityfair.it, 2 settembre 2017)
La domanda giusta arriva all’ultimo, e dà finalmente l’occasione a George Clooney di sfoderare il suo proverbiale sorriso sornione: «Io Presidente? Sarebbe divertente». Con postilla: «A me basta che lo sia qualsiasi altra persona eccetto quella che lo è adesso, qualsiasi».La domanda è quella giusta perché da tempo si vocifera di una possibile intenzione dei Clooney’s – giunti al completo in Laguna, gemellini compresi – di correre alle prossime elezioni per la Casa Bianca. Voci finora rigettate, più o meno scherzosamente, dagli interessati, ma che in un mondo in cui Donald Trump è presidente degli Stati Uniti davvero mai dire mai. Del resto, Suburbicon – il sesto film da regista di Clooney (che stavolta dirige solo, non recita), in concorso alla 74esima Mostra del cinema di Venezia – un po’ manifesto politico lo sembra, pur con i toni assurdi, ironici e surreali delle commedie dei Coen (qui sceneggiatori e produttori). Ambientato negli anni ’50 nel finto paese di Suburbicon – ispirato però a un vero agglomerato urbano «per soli bianchi» istituito dopo la Seconda Guerra Mondiale in Pennsylvania: Levittown –, il film prende di mira la società occidentale di ieri e di oggi, raccontando la (stra)ordinaria follia di una normale famiglia media americana (papà Matt Damon, mamma e zia interpretate entrambe da Julianne Moore, bambino rivelazione Noah Jupe), all’interno di una comunità bianca e ottusa, ossessionata e distratta dall’avvento di tre persone di colore nel quartiere. «Questo film è nato in concomitanza con la campagna elettorale di Trump, in cui s’inneggiava alla costruzione di muri contro le minoranze. E oggi è diventato ancora più attuale dopo i fatti di Charlottesville. È la dimostrazione che la Storia ricade sempre in questo tipo di situazioni, sono problematiche che non passano mai di moda nel nostro Paese», osserva Clooney alla presentazione stampa del film. «Un film che si contrappone a questo tipo di idee», sottolinea. «Io sono cresciuto negli anni ’60, insieme ai movimenti per i diritti civili nel Sud: la segregazione razziale stava scomparendo, ma non per sempre come ci aspettavamo. Attraverso la storia di questa pazza, folle famiglia (che ne combina davvero delle «tremende», fidatevi, N.d.R.) Suburbicon ci mostra come spesso guardiamo nella direzione sbagliata, incolpando le famiglie afro dei nostri stessi problemi. Quando spesso i problemi li creiamo noi con le scelte sbagliate». «La cosa più assurda del film», racconta Matt Damon (tornato al Lido dopo l’inaugurazione con Downsizing) è che se sei bianco puoi anche andare in giro in un quartiere di neri con la camicia sporca di sangue: non daranno la colpa a te ma ai neri». Oltre a ridere, insomma, e parecchio, in Suburbicon c’è anche molto di che meditare.