di Pierre Haski («L’Obs» / internazionale.it, 25 agosto 2017)
Un consiglio per Donald Trump, Emmanuel Macron, Narendra Modi e tutti gli altri leader dei Paesi che vogliono trattare con la Cina nei prossimi anni: andate a vedere Wolf warrior 2, il blockbuster cinese che sta battendo ogni record di incassi, e vi sarà più utile di un trattato di diplomazia. Innanzitutto c’è il successo del film: per la prima volta, un regista cinese, Wu Jing (conosciuto anche come Jacky Wu), è riuscito a sedurre il pubblico nazionale con un film d’azione, genere finora appannaggio del cinema statunitense.Era un sogno che i cinesi non avevano ancora realizzato, nemmeno con il primo episodio della serie, che non ha colpito gli animi nonostante i grandi sforzi e l’abbondanza di effetti speciali. Uscito a luglio, Wolf warrior 2 è già entrato nella lista dei cento maggiori successi del cinema mondiale, la prima volta per un film cinese. Ma c’è soprattutto il messaggio, poco sfumato come negli equivalenti americani: la Cina è grande, ma deve farsi rispettare e difendere i suoi interessi e quelli dei suoi cittadini in tutto il mondo, e potrà farlo solo grazie a un esercito forte guidato dal partito e a una popolazione cinese fiera della sua nazione. L’eroe, dunque, è un ex soldato d’élite dell’esercito cinese che salva civili cinesi e africani prigionieri di ribelli senza pietà aiutati da mercenari occidentali in uno Stato africano in disfacimento.
Valori discordanti
È la ricetta modificata dei film d’azione a cui ci ha abituato Hollywood, con i supereroi che difendono la bandiera a stelle e strisce, Dio e il dollaro su tutti i campi d’avventura planetari, spesso combattendo contro cattivi cinesi. Nel corso degli anni questo “potere morbido” ha imposto l’immagine di un’America capace di sbagliare ma anche ricca di eroi dal cuore d’oro. Lo stesso non accade per la Cina, il cui potere morbido si scontra subito con la natura del suo governo totalitario e con la quale gli europei, per fare un esempio, non condividono una memoria come quella della liberazione del continente dall’occupazione nazista né la sensazione di avere valori comuni. Per queste ragioni Wolf warrior 2 probabilmente non replicherà all’estero il successo straordinario ottenuto in Cina. Gli incassi nelle sale statunitensi sono stati modesti, e per il momento non è ancora prevista una data d’uscita in Europa. Negli ultimi anni i produttori cinematografici cinesi hanno investito molto a Hollywood, nel tentativo di influenzare le sceneggiature per migliorare l’immagine del Paese all’estero. I nuovi Star wars e Mission impossible, per esempio, sono stati finanziati anche con capitali cinesi e presentano attori cinesi in ruoli positivi. Il target era il resto del mondo insieme al succoso mercato cinese, ma con Wolf warrior 2 si punta direttamente alla Cina, lusingata nel suo orgoglio di nuova potenza mondiale. Dunque, il film va visto per comprendere alcune tendenze dell’opinione pubblica cinese e le ragioni del suo enorme successo in un Paese che è diventato una delle grandi potenze mondiali ed è ancora in fase di affermazione e sviluppo.
Stereotipi universali
Wolf warrior 2 è ambientato in Africa, e già questo è un elemento determinante: negli ultimi quindici anni la Cina è diventata un partner importante del continente africano, con una presenza economica e umana fatta di centinaia di migliaia di lavoratori, commercianti, imprenditori e anche militari (dopo la costruzione di una base navale in Gibuti). L’Africa è entrata nell’immaginario collettivo cinese, e viceversa. Ma l’Africa di Wolf warrior 2 somiglia a quella di tanti film occidentali: un continente stravolto dalla guerra, dalla miseria e dalla corruzione, una terra di avventure per uomini straordinari. Gli stereotipi cinesi non sono molto diversi da quelli che conosciamo, con buona pace del “politicamente corretto” sfoggiato il 14 agosto dall’agenzia ufficiale cinese Xinhua durante una conferenza stampa con i mezzi d’informazione africani, in cui è stata presentata una Cina più rispettosa del continente di quanto non facciano i mezzi d’informazione occidentali. Il personaggio principale, interpretato dal regista, ha tutte le caratteristiche dell’eroe… americano. Uomo delle forze speciali cinesi, per la prima volta rappresentate in un film commerciale, è una testa calda che disobbedisce agli ordini quando non li ritiene adeguati alla sua missione, un tratto caratteriale che non è mai stato incoraggiato in Cina, né nella cultura tradizionale né in quella del partito, che nega l’individualismo. Ma l’eroe è anche infinitamente leale all’esercito e alla Cina. Il regista non ha esitato a prendere in prestito scene d’antologia, come la famosa sequenza della roulette russa del Cacciatore di Michael Cimino, del 1978. E ha attinto anche a un’altra vicenda, stavolta reale: quella dell’ambasciata francese di Phnom Penh che accolse gli stranieri dopo la vittoria dei Khmer rossi nel 1975 ma fu costretta a respingere i cambogiani. In Wolf warrior 2 è l’ambasciata cinese ad accogliere i civili in fuga dai ribelli. Nel film, l’ex soldato partito per l’Africa in cerca di fortuna diventa un eroe suo malgrado e salva vite umane in un Paese che sprofonda nel caos. Ma al suo fianco, nel momento decisivo, arriva il glorioso esercito di liberazione popolare, che lancia una salva di missili dalle sue navi, un po’ come i Tomahawk che Donald Trump ha scagliato contro una base militare siriana in aprile, mentre cenava con il presidente cinese Xi Jinping. L’ambientazione, la personalità dell’eroe e la presenza dell’esercito cinese rendono Wolf warrior 2 non un classico film di propaganda (che nessuno va più a vedere) ma un film commerciale di successo il cui messaggio onnipresente, ma mai espresso apertamente, corrisponde a quello che il governo cinese vuole inviare.
Un’ascesa diversificata
Fin dall’inizio della sua ascesa economica, trent’anni fa, ma soprattutto dal suo ingresso nell’Organizzazione mondiale del commercio nel 2001, la Cina ha mostrato diverse facce. Prima quella “dell’emergenza pacifica” sotto Jiang Zemin e Hu Jintao, destinata a rassicurare i vicini di Pechino e altri Paesi affinché non temessero una Cina più forte. La prima svolta è stata avviata nel 2008, anno delle Olimpiadi di Pechino e della crisi finanziaria mondiale da cui la Cina è uscita rafforzata, anche sul piano mondiale. Ma il vero cambiamento di status è stato realizzato da Xi Jinping, numero uno cinese dal 2012, che può contare su un potere maggiore di qualsiasi altro leader dai tempi di Deng Xiaoping e che in autunno dovrebbe ottenere un nuovo mandato quinquennale. Oggi la Cina non esita a mostrare i muscoli all’India lungo un confine conteso, a sfidare i Paesi del sudest asiatico e il diritto internazionale con le sue costruzioni nel mar Cinese meridionale e ad affermare le sue posizioni e i suoi interessi in tutto il mondo, a cominciare dall’Africa. Questo non la rende necessariamente un Paese “imperialista”, ma sicuramente una potenza che non esiterà a usare la forza per servire gli interessi nazionali. Wolf warrior 2 esprime questa affermazione della propria potenza grazie a un cocktail di nazionalismo e fiducia cieca nel Partito comunista cinese, a cui finora mancava una competenza cinematografica capace di rivaleggiare con i Tom Cruise e i Brad Pitt di Hollywood: l’ha portata Wu Jing, e il pubblico è accorso in massa. Certo, è solo un film, ma in una Cina che non crede più alle ideologie, è sugli schermi grandi e piccoli che si forgiano i valori e i miti comuni di una nazione. Ecco perché i capi di stato dovrebbero correre a vedere Wolf warrior 2.