Il leader scherza: «Fantozzi votava Dc»
di Tommaso Labate («Corriere della Sera», 6 luglio 2017)
Fosse stato un tutt’uno con Fantozzi, allora se ne dedurrebbe che le sue scelte elettorali sono sempre state espresse contro il «megadirettore» di turno. Comunista e poi demoproletario negli anni del Pentapartito trainato dalla Dc, pannelliano nel momento del trionfo di Berlusconi, grillino all’alba della grande coalizione Pd-Forza Italia, piddino tra i romani che eleggevano Virginia Raggi.Il suo voto di qua, il potere di là. Trattandosi però di Paolo Villaggio, che non era un tutt’uno con la sua maschera più celebre, il caso rimane irrisolto. Agli atti restano l’antica fedeltà al Pci. Poi lo spot per la Democrazia Proletaria alle elezioni del 1987, che sancirono il virtuale divorzio politico dal geometra Filini alias Gigi Reder, che in quella stessa tornata prestava il volto alla campagna tv del Partito socialdemocratico italiano. Quindi la candidatura alle politiche del 1994 con la Lista Pannella, collegio Genova-San Fruttuoso, quarto su quattro con un dignitoso 6,5% di preferenze. Infine l’endorsement pro Grillo alle politiche del 2013, poi rovesciato in favore del Pd alle Comunali di Roma con un malinconico «voto Giachetti, lo voto a malincuore», pronunciato in diretta a Un giorno da pecora. Il tema del posizionamento di Villaggio nello scacchiere politico si è riaperto ieri, alimentato dalle parole che il figlio Pierfrancesco ha consegnato a Beppe Grillo, presente alla camera ardente insieme a Davide Casaleggio. «Anche a papà ultimamente piacevano i M5S come piacciono a me…». «Paolo? Non è che fosse così cinquestelle, era una personalità libera», ha replicato il comico genovese. Quando l’attenzione si è spostata da Villaggio a Fantozzi, Grillo è stato perentorio. «Fantozzi votava Dc, se c’era. Oppure Comunione e liberazione, che so…». La filmografia fantozziana dà ragione al leader M5S. Nella celebre scena del Ragioniere che si consegna a un’overdose di tribune politiche — il film è Fantozzi subisce ancora — dalla tv appaiono un (finto) Marco Pannella che lo incalza («Digiuna con me, compagno Fantozzi. Sarà una straordinaria dimostrazione per questi truffaldini partitocratici»), un (finto) Giovanni Spadolini che lo sferza («Sono d’accordo per una volta con Pannella. Lei, Fantozzi, è condannato a digiunare»), un (finto) Berlinguer che lo chiama alla lotta («Compagno Fantozzi, tu sei lo sfruttato classico, il prototipo degli sfruttati. Li hai provati tutti ti chiedo di provare anche noi») e altri ancora. Tra cui, in mezzo, un (finto) Ciriaco De Mita, allora leader della Dc, che risolve il rebus: «Caro Fantozzi, lei, dopo quasi quarant’anni di uso e abuso continuo democratico cristiano, è diventato un dc dipendente». Poi, però, tutto cambia. Smaltita la sbornia di spot, nella scena successiva il Fantozzi si sarebbe trattenuto in cabina elettorale a compiere l’unica scelta che poteva sovrapporsi al rumore dello scarico di un water che s’avvertiva nel seggio. Una chiara scelta a favore dell’antipolitica. Che esattamente trent’anni dopo quella scena avrebbe avuto, a rappresentarla, proprio il movimento di Grillo.