Dal Libano all’Algeria, bloccato il film con Gal Gadot
di Sara Gandolfi («Corriere della Sera», 10 giugno 2017)
È il film del momento. Nel primo fine settimana di proiezione, ha incassato oltre 100 milioni di dollari al box office americano e altri 123 nel resto del mondo. Qualcuno già preannuncia una o più candidature all’Oscar e perfino all’Onu si sfregano le mani: Wonder Woman, alias Diana Prince, la principessa amazzone dai superpoteri, è ambasciatrice onoraria per i diritti delle donne e delle ragazze.Eppure l’eroina creata nel 1941 dal femminista William Marston rischia di scatenare un’imprevista crisi diplomatica. L’ultima Wonder Woman è bella, audace, sarà un modello per le ragazze d’ultima generazione come Lynda Carter lo fu per le loro nonne e mamme. Ma la Superdonna contemporanea non piace al mondo arabo perché non è soltanto una donna, è israeliana. O almeno lo è l’attrice che la interpreta, Gal Gadot (già vista in Batman vs Superman: Dawn of Justice). Ex miss Israele a 18 anni, un nonno sopravvissuto ad Auschwitz, per due anni ha prestato servizio (obbligatorio) per le forze armate di Gerusalemme — «lì impari disciplina e rispetto» — e non ha mai fatto mistero delle sue posizioni sioniste. Dieci anni fa partecipò perfino a un servizio fotografico per le forze armate israeliane, dal titolo «Le soldatesse più sexy del mondo». In contemporanea all’uscita del film diretto da Patty Jenkins è scattata così la campagna di boicottaggio in Libano, con l’avvallo del ministro dell’Economia Raed Koury. I detrattori della bella Gal ricordano il messaggio che postò su Facebook tre anni fa, durante l’operazione israeliana Margine Protettivo contro la Striscia di Gaza: «Il mio amore e le mie preghiere vanno ai ragazzi e alle ragazze che stanno rischiando la vita per proteggere la nazione dagli attacchi orrendi di Hamas, i cui miliziani si nascondono come vigliacchi dietro a donne e bambini», scriveva. Al Libano, che è formalmente in guerra con Israele e da tempo boicotta i suoi prodotti, si sono unite la moderata Giordania, che firmò invece l’accordo di pace nel 1994, e la Tunisia. La commissione per le comunicazioni di Amman sta «verificando» la pellicola per decidere se i contenuti sono «adeguati», ha riferito il sito di notizie israeliano Ynet. In Tunisia, il ministro della Cultura ha invece fermato la «première» dopo una protesta del partito nazionalista Movimento del popolo. Wonder Woman è stato tolto anche dal cartellone del festival Nuits du Cinéma in Algeria. Il ministero della Cultura aveva già emesso la licenza d’importazione del film ma di giorno in giorno aumentano le firme della petizione online «Non! Pas en Algérie» (Non in Algeria). La censura è forse anche un modo per gettare acqua sul fuoco ed evitare che l’ex soldatessa israeliana diventata eroina globale riaccenda rancori mai sopiti, e spinte estremiste. In realtà, non è la prima volta che un film viene bandito nei Paesi arabi. Nel 1959, la Lega araba bloccò la versione originale di Ben Hur a causa della protagonista, l’israeliana Haya Harareet, e l’anno dopo Siria ed Egitto bandirono Exodus e tutti i film di Paul Newman per il sostegno dell’attore alla causa sionista. Per la stessa ragione, Amman vietò i film di Danny Kaye ed Elizabeth Taylor. Alla Warner Bros, produttrice del film, non si scompongono, fedeli alla regola dello showbiz «Basta che se ne parli». Gli israeliani gongolano: «Il film non è un trionfo solo per le donne ma anche per gli ebrei», ha scritto il Jewish Journal. Chissà se era davvero questo il messaggio che aveva in mente lo psicologo William Marston, ideatore di Wonder Woman. D’altra parte, molti supereroi — Superman, Capitan America, Batman, Spider Man, Hulk, i Fantastic Four, Ironman, gli X-Men, Thor e gli Avengers — furono creati da disegnatori ebrei che, respinti negli anni ’30 dai giornali proprio perché ebrei, cercarono di sbarcare il lunario con i fumetti.