
di Adalgisa Marrocco (huffingtonpost.it, 29 marzo 2025)
Vignette e discriminazione: un binomio che, a prima vista, appare come una contraddizione. Eppure, nel corso della Storia, è stato spesso uno degli strumenti più potenti per costruire consenso attorno alle forme più arroganti e oppressive del potere.
Le caricature – come ci ricordano in modo drammatico quelle diffuse nell’Europa dei totalitarismi novecenteschi – hanno avuto un ruolo cruciale nel plasmare l’immaginario collettivo: il nemico veniva rappresentato come approfittatore, violento, codardo, e spesso ritratto con tratti fisici mostruosi, grotteschi, disumanizzanti. Una tendenza che sembrava confinata a un passato ormai remoto, e che invece oggi riemerge, in forme nuove e più subdole perché capaci di raggiungere tutti, specie se rilanciate dai profili social della Casa Bianca.
Ma facciamo un passo indietro. Negli ultimi giorni, le piattaforme Web sono state invase da immagini generate in stile Studio Ghibli, lo studio di animazione giapponese di Hayao Miyazaki, celebre per capolavori come Il mio vicino Totoro e Porco Rosso. Il fenomeno è stato reso possibile dall’ultima versione di ChatGPT, il software di Intelligenza Artificiale generativa di OpenAI. Il meccanismo è semplice: gli utenti caricano immagini reali e chiedono allo chatbot di riprodurle nello stile delicato e sognante dell’animazione giapponese. Un gioco visivo che molti hanno trovato divertente, altri discutibile. Fin qui, niente di nuovo nell’universo dei trend digitali.
Ma a essere particolarmente opinabile è stato l’utilizzo di questo strumento da parte dei canali social ufficiali dell’amministrazione Trump, che hanno pensato di cavalcare l’onda pubblicando una “versione ghiblizzata” dell’arresto di una donna immigrata da parte degli agenti dell’Ice (Immigration and Customs Enforcement). La donna in questione si chiama Virginia Basora-Gonzales, 36 anni, originaria della Repubblica Dominicana.
La sua storia è complessa: arrestata nel giugno del 2019 per possesso di Fentanyl a fini di spaccio, ha scontato un anno di carcere, è tornata in libertà nel marzo del 2020, ma nell’ottobre dello stesso anno è stata arrestata nuovamente e successivamente espulsa. Cinque anni dopo, il 13 marzo scorso, la sua immagine è riapparsa sui social ufficiali della Casa Bianca: foto reali – non disegnate – la mostravano in lacrime, in manette, mentre veniva arrestata con l’accusa di essere rientrata illegalmente negli Stati Uniti. Il 18 marzo è stata espulsa per la seconda volta. Nel frattempo, è diventata un contenuto virale. Dieci giorni dopo, un’altra sua immagine – stavolta in stile Miyazaki – è apparsa sugli stessi canali.
Un caso di “disumanizzazione” isolato? Tutt’altro. Lo scorso mese, l’account X della Casa Bianca aveva diffuso un video che documentava alcune fasi della deportazione di immigrati irregolari: si vedevano persone ammanettate ai polsi e alle caviglie, altre scortate a bordo di un aereo. La clip, della durata inferiore al minuto, era intitolata Asmr: Illegal Alien Deportation Flight. L’acronimo Asmr (Autonomous Sensory Meridian Response) si riferisce a una sensazione di piacevole formicolio che può insorgere in risposta a specifici stimoli visivi e uditivi. Al post era unita l’emoji dell’altoparlante: un invito ad attivare l’audio per cogliere il tintinnio di catene e manette e il loro suono metallico sulle scalette dell’aereo.
Gli autori del video sembravano insomma suggerire che quelle immagini e quei suoni potessero indurre nello spettatore una sensazione di benessere, o almeno una forma di compiacimento. Elon Musk, proprietario del social network, aveva rilanciato il contenuto scrivendo semplicemente: «Haha, wow». Insomma, come accade spesso nella comunicazione politica contemporanea, quando un contenuto “funziona” si tende a replicarlo. E il rischio, in questi casi, è che il cinismo superi la soglia dell’accettabile.
Così riaffiora la logica del nemico designato. Nell’America trumpiana, l’immigrato è ormai il bersaglio perfetto: reso caricatura, ridicolizzato sulla pubblica piazza dei social, esposto al ludibrio collettivo in nome di una propaganda che vuole mostrarsi al passo con la tecnologia, ma produce déjà vu di tempi bui. Non conta più il dolore individuale, non conta la dignità della persona: ciò che conta è la ricerca del consenso, a ogni costo e senza buon gusto.