Dietro i successi comunicativi di Bergoglio c’è un salesiano che si ispira a Fellini e adora i social network
di Denise Pardo («L’espresso», 24 dicembre 2016)
Anche i papi moderni hanno lo spin doctor. Ma al contrario degli spin doctor americani che vengono, fanno perdere i premier italiani e poi vanno con le pive nel sacco, don Dario Edoardo Viganò è al settimo cielo.Il compleanno degli ottant’anni papali è stato un successo in linea con il sobrio corso neo-realista, il suo potere “di narrazione” come lui dice compiaciuto (a Carlo Tecce sul «Fatto») è crescente, la sua posizione nel cerchio magico di Sua Santità solida. Per chi non sapesse, il monsignore, 54 anni, physique du rôle del prete spigliato da studio domenicale Rai, ha la carica di prefetto della Segreteria per la comunicazione e ha cumulato sotto di sé l’impero dei media vaticani. Nativo brasiliano, formato in Italia, salesiano, ordinato sacerdote dal cardinale Carlo Maria Martini, docente di Teologia della comunicazione, Viganò coltiva anche un talento da regista di cinema, la sua specialità, e segue con maniacalità i filmati sul pontefice. La sua ispirazione massima, come ha più volte sottolineato modesto, è Federico Fellini, non a caso l’artista preferito di Sua Santità. Ma vista l’indole del monsignore secondo informate soffiate d’OItretevere il sant’uomo sarebbe più affine al genere kolossal. In effetti sui media vaticani la sua influenza è colossale. Ha scansato anche padre Federico Lombardi, ex direttore della Sala stampa, gesuita compassato – ma secondo la nouvelle vague antiquato – per anni direttore della Radio Vaticana, l’emittente che Viganò considera alla stregua di un mammuth del Pliocene. Oggi le vie del Signore sono quelle del web, delle app, di Facebook con cui ha firmato un accordo per diffondere i messaggi papali. Il super dicastero affidato dal papa a Viganò è vasto, il Centro Televisivo Vaticano (CTV), i Servizi internet istituzionali (compresi gli account Twitter e Instagram del Pontefice), la sala stampa della Santa Sede, il Pontificio Consiglio delle Comunicazioni Sociali. E il quotidiano «L’Osservatore Romano», anch’esso entrato nel mirino di don Dario che pare intenzionato a ridurlo ai minimi termini, un bollettino settimanale forse e non è neppure detto. Nei sacri palazzi i sentimenti verso di lui non appaiono da evangelii gaudium: è un Rottweiler, dicono, troppo innovatore, zero delicatezza e tolleranza, più interessato ai social che alle missioni. In una parola – che ora scotta – è un rottamatore. Per spiegare la complessità di Bergoglio lo ha definito un “papa Apple”. La riorganizzazione editoriale, affidata a Mc Kinsey, è stata condotta, ha raccontato lui, “attraverso processi di audit e di assessment, seminari con la Business School della Luiss proprio in team building” fino a avviare “il vero content hub” che per le pecorelle profane sarebbe un unico centro di produzione multimediale. Se continua così più che in latino la messa avrà presto un linguaggio da marketing, brand e podcast. Per non parlare di riprese e trasmissioni di cui il CTV di Viganò ha l’esclusiva (prima non era così) con la partecipazione, a seconda dei casi, di Sky, Sony, Eutelsat, senza ulteriori costi, collaborazioni in cambio di immagini, girando in 3D e usando il 4K (altissima definizione) con la moltiplicazione di telecamere e satelliti. È stato il filmato della partenza in elicottero del papa emerito Ratzinger verso Castel Gandolfo a lanciare don Dario. Appena capita, lui ricorda la citazione felliniana, l’elicottero che trasporta la statua di Cristo nel film La dolce vita, pellicola non proprio celestiale ma non si deve essere troppo noiosi, la Chiesa non può più essere così bacchettona. Per lui che è stato presidente della Fondazione Ente dello spettacolo, direttore per quasi un decennio della «Rivista del Cinematografo», giurato del Festival di Venezia fotografato di qua e di là con Cristiana Capotondi, Carolina Crescentini, mentre consegna il premio Bresson al regista Andrej Konchalovskij, è una cuccagna anzi un paradiso. Nella pratica ha una casa di produzione di richiamo mondiale in mano e come inimitabile protagonista papa Bergoglio. Altro che il duro lavoro degli spin doctor stranieri alle prese con “prodotti” come Mario Monti per esempio.