di Stefania Carini (ilpost.it, 11 gennaio 2025)
Chi lo sa se la prima volta che Mussolini si trovò davanti a un obiettivo televisivo guardò dritto davanti a sé, magari per cercare la complicità di chi stava dall’altra parte, come fa Luca Marinelli nella serie M – Il figlio del secolo diretta da Joe Wright e scritta da Stefano Bises e Davide Serino, appena uscita su Sky. Anche se l’inizio delle trasmissioni regolari della tv italiana è datato 3 gennaio 1954, la televisione esisteva già sotto il fascismo, in via sperimentale, e il Duce la provò almeno due volte – ma solo una di queste è arrivata fino a noi.
È il 1932. Mussolini sta facendo un giro per l’Italia per celebrare i dieci anni della Marcia su Roma. Come racconta con toni entusiasti il Radiocorriere. Settimanale dell’Ente Italiano Audizioni Radiofoniche – nato nel 1925, quando le trasmissioni radio furono diffuse su tutto il territorio nazionale –, al Palazzo dell’Elettricità di Torino alcuni tecnici avevano preparato per lui anche «gli apparecchi trasmittenti e riceventi di televisione» per mostrargli un piccolo esperimento di trasmissione a distanza senza pellicola.
E infatti ecco che al Duce appare «magicamente», «in un apparecchio ricevente», la figura di un delegato dell’Eiar (Ente Italiano per le Audizioni Radiofoniche, appunto), che in quel momento si trovava in un’altra stanza, evidentemente davanti a «un apparecchio trasmittente». A Mussolini, oltre all’immagine, giunge anche la voce del delegato: «Noi vi promettiamo, o Duce, di dare tutto il nostro entusiasmo di tecnici e di studiosi perché nel secondo decennale fascista questo esperimento esca dal laboratorio alla ribalta della vita industriale, sicché l’Italia, come pulsante e potente cellula fotoelettrica, possa soprattutto e tutti offrire al mondo la fulgida visione di un popolo che in Sole e in ombra è pronto oggi, come ieri, come domani, ad ubbidirvi, a servirvi, ad amarvi!».
Il momento è solenne – spiega l’articolo – e il Duce ascolta compiaciuto, comprendendo e approvando «l’arditismo della similitudine, insieme scientifica e poetica, dell’Italia raffigurata come una cellula irradiante energia». Per stupire ulteriormente Mussolini, il delegato Eiar scrive su una lavagna alcune «parole che vengono graficamente trasmesse nell’attimo stesso che la mano commossa le traccia». Quali sono queste parole? Be’, ovvio: «Evviva il Duce!».
Quel momento «magico e ardito» non poteva finire così: Mussolini, la star dell’Italia tutta, «si trasforma da spettatore in attore e, recandosi nella sala di trasmissione, si mette davanti all’apparecchio trasmittente. Così gli invitati nel buio della sala principale vedono apparire viva e parlante la maschia figura del Condottiero». È questo l’inizio simbolico della “tv di Mussolini”, il periodo sperimentale del piccolo schermo sotto il fascismo, raccontato nell’omonimo libro del 2003 da Diego Verdegiglio.
La televisione era nata nel 1925, anno in cui l’inglese John Baird iniziò a far conoscere il suo sistema di ripresa, trasmissione e ricezione delle immagini, che l’anno dopo sarebbe stato presentato anche a Milano. È qui, oltre che a Torino e a Roma, che iniziano le prime sperimentazioni in Italia, in attesa dell’inaugurazione ufficiale delle prime trasmissioni che si sarebbe tenuta il 22 luglio 1939 in Via Asiago a Roma. Inizialmente i programmi si vedono nei televisori montati nel padiglione del Villaggio Balneare, un complesso con piscine, teatro, pista da ballo e intrattenimenti vari dentro il Circo Massimo, e nei televisori in vetrina in alcuni negozi di Via del Corso e Via Nazionale.
Si tratta, ovviamente, di una televisione ancora limitata, non solo per il numero di ore trasmesse (prima due, poi quattro) ma anche per il numero di telespettatori raggiunti. È più che altro una dimostrazione tecnica, una meraviglia da mostrare nelle fiere o da mettere in vetrina, che molto raramente arriva nella casa di qualche ricco e potente. Di quella prima tv italiana ci sono rimasti pochissimi documenti, e niente di audiovisivo parrebbe. Per questo è prezioso il lavoro di Verdegiglio, che si affida ai giornali dell’epoca e alle memorie di chi c’era.
Come capita sempre con le nuove tecnologie, la prima tv suscitò speranze e paure. Ci fu chi la esaltò, immaginandone il futuro: la possibilità di trasmettere in diretta quel che accadeva nel mondo, che fosse una partita di calcio o la funzione papale in Piazza San Pietro. E ci fu chi s’interrogò sulla sua possibile dimensione artistica, soprattutto se paragonata al cinema; e perfino chi immaginò che i personaggi dentro gli apparecchi fossero vivi e avrebbero, prima o poi, spiato gli spettatori. In una vignetta del 1939 che appare sulla copertina del giornale umoristico Il Travaso delle Idee si vede una coppia vicino a un letto, lui in pigiama e lei intenta a togliersi il vestito. Sullo schermo del grosso televisore accanto a loro, un uomo dice: «Peppino, Gaetano, Arturo, correte a vedere! Ci sono due sposetti in viaggio di nozze!!».
Dai resoconti dell’epoca sappiamo che nel 1939 i primi programmi andavano in onda, e solo per qualche ora, di sera. Era un susseguirsi di numeri da varietà: scenette comiche, numeri da rivista musicale, imitatori e cantanti, Macario, Fabrizi, Nunzio Filogamo, e poi qualche adattamento di opere teatrali. Tra febbraio e marzo del 1940 andò in onda Ho scritto un bel soggetto, il primo prodotto di fiction inedito e originale della televisione italiana di cui ci sia giunta memoria. La trama: uno sceneggiatore italiano va a Hollywood per proporre la sua idea di dramma storico, che viene totalmente stravolta da produttore, regista e diva. «Morale della favola: autori non andate a Hollywood…» si raccomanda ancora, autarchicamente, il Radiocorriere in un servizio realizzato con foto di scena.
In Italia la tv rimane un esperimento che nasce in ritardo rispetto ad altri Paesi e, per di più, a ridosso dello scoppio della Seconda guerra mondiale, che ne ferma lo sviluppo: le trasmissioni vengono infatti interrotte già alla fine di maggio del 1940, poche settimane prima del 10 giugno, giorno dell’entrata in guerra. Senza vedere il materiale video, è difficile decifrare l’effetto di quei primi programmi. Dai resoconti del Radiocorriere è evidente che il regime ne intuì le potenzialità propagandistiche; ma anche che le prime trasmissioni furono di puro intrattenimento, durarono troppo poco e raggiunsero troppe poche persone per avere un effetto reale sulla popolazione.
A funzionare da propaganda fu, se mai, la tv stessa, in quanto meraviglia tecnologica che rifletteva il linguaggio, l’estetica e l’ideologia del regime. Per celebrare l’inaugurazione delle trasmissioni al Villaggio Balneare nel 1939, il Radiocorriere scrisse che la televisione «manderà le più belle e vigorose immagini della razza e dell’arte italiana a documentare e illustrare visibilmente nel mondo i volti numerosi e geniali del nostro progresso gli aspetti radiosi della nostra Civiltà».
Ma già nell’Annuario dell’Eiar del 1929 ci si interroga sul rapporto tra guerra e televisione: se si farà vedere e sentire la voce della sua mamma a un soldato al fronte, quello si lancerà senza paura in battaglia e «se anche la mamma lo vedrà, le due anime saranno eternamente abbracciate nel nome della Patria». Nel 1933 si favoleggia di trasmettere in tutto il mondo i raduni fascisti: «Pensate al buon italiano del fascio di Buenos Aires che mentre Mussolini passa in rivista le legioni dell’Urbe lo segue di là dell’Oceano, in casa sua! Senza vedersene, saluterà romanamente». Quello che si sa è che, come racconta il Radiocorriere, il 30 ottobre 1939 il Duce assistette dal suo salotto di Villa Torlonia a una trasmissione televisiva, giudicandola «attraente e suggestiva».
Il regime fascista controllò e usò a proprio vantaggio i mezzi di comunicazione di massa, dalla stampa ai cinegiornali alla radio. La televisione, però, era ancora nella sua preistoria: primi passi tecnologici e prime timide trasmissioni. Le possibilità del mezzo furono intuite, ma la televisione fascista durò troppo poco e fu troppo limitata per funzionare davvero come mezzo di propaganda. Anche perché nei regimi la propaganda deve essere magniloquente.
In Germania erano più avanti: la tv era stata inaugurata già nel 1935, un anno prima delle Olimpiadi di Berlino, che furono un test importante perché vennero teletrasmesse in 27 luoghi pubblici per 8 ore al giorno. Grazie alla televisione, Hitler presentò ai tedeschi e al mondo la potenza tecnologica della Germania; anche se, come dimostrò nel 1938 il documentario Olympia di Leni Riefenstahl, soltanto il cinema con il suo linguaggio ormai consolidato poteva trasformare le Olimpiadi in un’esperienza estetizzante e nel primo evento sportivo di massa della Storia.
È in Germania che Mussolini apparve in tv la seconda volta, dopo il primo esperimento italiano del 1932, di cui non è rimasta traccia audiovisiva. I filmati che siamo abituati a vedere di lui sono quelli dei cinegiornali Luce. Anche la ripresa del suo viaggio a Monaco del 1937 è in pellicola, ma era destinata alla televisione tedesca. In alcuni casi, come durante le Olimpiadi, la pellicola poteva essere sviluppata subito e teletrasmessa con qualche decina di secondi di ritardo. Le bobine dell’incontro con Hitler del 1937 a Monaco sono state ritrovate insieme ad altre alcuni anni fa, permettendo al regista Michael Kloft di realizzare il documentario Television Under the Svastika, andato in onda anche in Italia sulla Rai all’interno del programma La Storia siamo noi.
Neppure in Germania, però, la televisione fu un mezzo di comunicazione di massa. Era diffusa principalmente tra gerarchi, giornalisti e tecnici dell’ufficio postale che gestivano salette di visione collettiva. Come quella italiana, trasmetteva soprattutto programmi di intrattenimento, numeri musicali, filmati culturali, qualche reportage, servizi dedicati alla cucina e alla forma fisica e rudimentali sceneggiati. Raggiunse un pubblico più vasto soltanto con le Olimpiadi. Il fatto che furono ripresi anche alcuni “raduni di Norimberga”, i congressi annuali del partito nazionalsocialista, dimostra che le sue potenzialità come strumento di informazione e consenso furono intuite già allora. Secondo Kloft, però, la sua efficacia propagandistica fu scarsa anche in quelle occasioni, non solo per la limitatezza dei mezzi ma anche per un certo disinteresse dei vertici nazisti.
Quello che passa in quei programmi, tanto più se di intrattenimento, è un messaggio più modesto e quotidiano che restituisce e rafforza la mentalità del tempo, veicolando un tipo di propaganda più sottile: le annunciatrici salutano sempre gli spettatori con la frase «Heil Hitler»; le canzoni tradizionali tedesche si alternano ai canti nazisti; vengono trasmessi un servizio sulla “Scuola delle spose del Reich” dove s’impara a diventare brave mogli e un altro per istruire sui pericoli del bolscevismo e della “razza ebraica”. Quando il 1° settembre 1939 la Germania invade la Polonia, le trasmissioni vengono interrotte per riprendere solo 6 settimane dopo.
Fino al 1943, quando, a causa dei bombardamenti degli Alleati, le trasmissioni quotidiane sono difficili da garantire, la televisione si trasforma in una sorta di canale tematico di consigli per il periodo della guerra. In uno degli ultimi programmi si vedono soldati con protesi che ballano con alcune ragazze. «Hai entrambe le gambe amputate, ma sei ancora capace di godere delle cose della vita», dice una ragazza a uno di loro. «Sì», risponde il soldato, «la vita è veramente una cosa meravigliosa». La propaganda tenta di alzare il morale alla popolazione, ma le immagini ormai dicono altro. Nell’autunno del 1944 la televisione del Terzo Reich si spegne.
Nel 1937, al tempo della visita di Mussolini a Monaco, i regimi nazifascisti potevano ancora fingersi grandiosi. I due dittatori sfilano insieme verso le truppe con baldanza militaresca. L’inquadratura è a distanza. Il tono quello della cronaca in diretta, radiofonica. Ma nelle immagini che seguono, Mussolini è accolto nella residenza di campagna di Hermann Göring, il luogotenente di Hitler.
E qui la telecamera si avvicina reverenziale, per concedere al pubblico di allora e a noi che guardiamo quasi novant’anni dopo un momento intimo, privato, glamour, dei potenti. È in quell’istante che sul corpo dei capi si intravede un’altra propaganda, quella futura che vediamo ogni giorno sui social, che allora la neonata tv non poteva sfruttare e neppure intuire, ma che probabilmente costituisce la sua forza specifica. E però più subdola. Il dittatore non appare e non è messo in scena come il “maschio Condottiero”, ma è (quasi) uno di noi. Per pochissimi secondi, sembra che Mussolini guardi davanti a sé, dritto nell’obiettivo, verso di noi.