(ilpost.it, 20 novembre 2024)
Lunedì il cantante inglese Ed Sheeran ha detto che, se ne avesse avuto la possibilità, avrebbe «rispettosamente vietato» l’utilizzo della sua voce nella nuova versione di Do they know it’s Christmas?, che uscirà il 25 novembre. È una canzone pubblicata quarant’anni fa dal supergruppo britannico Band Aid, fondato da Bob Geldof e Midge Ure, e composto da molte popstar e rockstar internazionali, che ai tempi ebbe un successo enorme anche per via del suo obiettivo filantropico.
Le vendite del singolo contribuirono infatti agli aiuti umanitari all’Etiopia, che quell’anno era stata colpita da una grave carestia. Da allora la canzone, e più in generale l’operazione Band Aid nel suo complesso, è stata criticata da diversi giornalisti, accademici e attivisti, molti dei quali appartenenti alla diaspora africana, che si sono dedicati a evidenziare le semplificazioni, spesso superficiali e sbrigative, con cui l’Africa (perlopiù intesa come l’intero Continente) viene conosciuta e raccontata in Occidente.
Le critiche riguardano soprattutto il testo di Do they know it’s Christmas?, che, secondo le interpretazioni più severe, sarebbe viziato dal cosiddetto “complesso del salvatore bianco”, un’espressione che indica lo spirito missionario tipico di alcune persone bianche e privilegiate, convinte, con una certa presunzione e talvolta con un buon grado di esibizionismo, di essere fondamentali per aiutare le popolazioni più povere. E di sapere esattamente quale sia il modo giusto di aiutarle. Le critiche non riguardano soltanto Band Aid, ma più in generale tutte quelle iniziative benefiche (in ambito musicale, un altro esempio famoso è quello di We are the World) organizzate da Paesi occidentali con scopi anche nobili, ma che finiscono per diffondere un’immagine stereotipata, svilente e pietistica del Continente africano nel suo complesso.
Ed Sheeran partecipò al progetto nel 2014, in occasione del trentennale della fondazione di Band Aid, quando registrò una nuova versione della canzone insieme ad altri musicisti e gruppi irlandesi e britannici, tra cui Sinéad O’Connor, Bono degli U2 e Chris Martin, il cantante dei Coldplay. La sua voce, estrapolata dalla registrazione di dieci anni fa, sarà presente anche nella nuova versione della canzone. Sheeran ha detto che, negli ultimi dieci anni, la sua «comprensione della narrazione associata a queste iniziative» è cambiata. Per spiegare la sua posizione ha ripreso una riflessione di Fuse ODG, un cantante di origini ghanesi molto famoso nel Regno Unito, che il giorno prima aveva criticato Band Aid per aver contribuito a «perpetuare stereotipi dannosi, soffocando la crescita economica, il turismo e gli investimenti verso l’Africa».
Peraltro, dieci anni fa lo stesso Fuse ODG rifiutò di partecipare alla versione del trentennale di Do they know it’s Christmas?, nonostante l’invito di Geldof, e raccontò i motivi della sua scelta in un articolo sul Guardian. Disse di aver rifiutato la proposta di Geldof per via dei molti cliché presenti nel testo, tra cui un verso che suggeriva che non ci sarebbero state «pace e gioia in Africa occidentale» durante le feste natalizie. Dopo aver letto il testo, Fuse ODG fece presente a Geldof che trascorreva regolarmente il Natale in Ghana, e che lo faceva proprio per «cercare pace e gioia»; di conseguenza, «cantare quelle parole sarebbe stata una bugia».
Fuse ODG ne parlò anche direttamente a Geldof, quando venne contattato. Gli espresse sin da subito il suo scetticismo per il modo svilente e stereotipato con cui l’Africa veniva descritta in molte occasioni sui media e nei prodotti culturali occidentali. Era uno dei problemi anche della versione originale di Do they know it’s Christmas?, quella del 1984, dove l’Africa veniva definita un luogo di «terrore e paura» in cui non cresce mai nulla e in cui l’unica acqua che scorre è «l’amaro pungolo delle lacrime». Fuse ODG disse anche di ritenere problematico il concetto di “Africa” per come viene comunemente inteso in Occidente, dato che si tratta di «un Continente ricco di risorse con un potenziale sfrenato», che però «viene sempre descritto come malato e povero».
Parlando di questo aspetto, nel suo saggio L’africa non è un Paese (in Italia pubblicato da Altrecose, il marchio editoriale del Post e di Iperborea), il giornalista Dipo Faloyin ha scritto che Do they know it’s Christmas? «ha condensato tutti i peggiori stereotipi su un enorme Paese in crisi in un piacevole motivetto di quattro minuti, di così facile ascolto da rimanere inamovibile per decenni nel repertorio annuale delle hit festive suonate nei locali e nei party aziendali, richiesto dagli ascoltatori nei programmi radiofonici e offerto come musica di sottofondo per lo shopping natalizio nei negozi di ogni tipo e dimensione». Un altro problema della canzone, ha aggiunto Faloyin, è che, pur essendo stata scritta per risolvere una causa molto specifica (la carestia in Etiopia), Do they know it’s Christmas? non menziona neppure una volta «quello che vorrebbe disperatamente farci conoscere».
Recentemente, anche lo scrittore srilankese Indrajit Samarajiva ha criticato le generalizzazioni di Do they know it’s Christmas?, definendola «una canzone terribile e razzista» che serve «a far sentire bene i bianchi, più che a far star bene qualcuno». La canzone comunque ebbe un enorme successo, e il singolo vendette un milione di copie in una settimana nel Regno Unito, stabilendo un record battuto soltanto nel 1997 da Candle in the Wind di Elton John. In un anno raccolse circa otto milioni di sterline, e l’iniziativa proseguì l’anno successivo con Live Aid, un concerto organizzato tra Londra e Philadelphia cui parteciparono alcune delle più grandi popstar e band dell’epoca, da David Bowie ai Queen.
La giornalista britannica di origini nigeriane Igbo Ije Teunissen-Oligboh, comunque, ha un’opinione un po’ diversa. Dal suo punto di vista, l’intenzione di partenza di Geldof e Ure era apprezzabile e lodevole, ma fu quasi interamente vanificata dall’esecuzione, «che è stata spaventosa e ha contribuito a perpetuare stereotipi e disinformazione». «Il disagio che provavo da bambina guardando il video musicale del singolo insieme ai miei amici prevalentemente bianchi era inutile, e anche evitabile (…). Ho fatto fatica a spiegare ai miei coetanei che le immagini che vedevano non potevano essere la rappresentazione attendibile di un intero Continente».