di Richard Lawson (vanityfair.it, 15 novembre 2024)
L’impensabile è accaduto di nuovo, il che, deduco, non lo rende poi tanto impensabile. Lo slogan che intrecciava timore e speranza della campagna di Kamala Harris, «We Are Not Going Back», era sbagliato: come il personaggio di un film dell’orrore che pensa di essere sfuggito all’assassino una prima volta e si sente ormai al sicuro, proprio per sottolineare l’effetto sorpresa quando questo ritorna, gli americani ritrovano una versione del loro Paese che pensavano di essersi lasciati alle spalle quattro anni fa.
La domanda che ci si pone ora è: avranno ancora la forza e le energie per opporsi al secondo governo trumpista? Quale sarà lo spirito nei prossimi quattro anni? Per prevedere lo stato d’animo futuro, può essere utile fare un passo indietro e guardare alle produzioni culturali del precedente mandato di Donald Trump, quando una metà del Paese – buona parte della quale impiegata nell’industria dell’intrattenimento –, stordita, ha cercato di analizzare il mondo in cui si era improvvisamente ritrovata.
Ma quattro anni, per le produzioni cinematografiche, sono un tempo piuttosto breve. Il pubblico si è quindi spesso rivolto a film e serie prodotti in epoca precedente alla prima elezione di Trump, ma che sembravano prevedere quello che ci aspettava: The Post del 2017, Black Panther del 2018 e serie televisive come The Handmaid’s Tale del 2017, nonostante fossero stati pensati, scritti e finanziati prima dell’ascesa al potere del trumpismo. The White Lotus di Mike White, invece, è stato sviluppato durante gli ultimi mesi del primo mandato di Trump ed è certamente in linea con la sensazione diffusa che i ricchi stessero schiacciando tutti gli altri. Ma come Get Out del 2017, la prima stagione di The White Lotus è più interessata ai misfatti e all’ipocrisia di persone – i sedicenti liberal – che si considerano parte del campo del bene. In realtà, nessuna delle due opere è un’invettiva contro il conservatorismo dispotico.
Forse il trumpismo era troppo vasto e sinistro per essere affrontato tutto insieme, in così poco tempo. Ma i difetti di quell’epoca malata sono stati evidenziati e criticati già a quel tempo, in particolare attraverso il movimento #MeToo, iniziato verso la fine del primo anno di mandato di Trump. Film come Una donna promettente, Bombshell – La voce dello scandalo e The Assistant hanno raccontato le esperienze di molte donne, il sessismo e la cultura dello stupro che esistevano già prima di Trump, ma che la sua politica non ha fatto altro che rafforzare. È probabile che uno tsunami del genere si sarebbe scatenato indipendentemente dalla persona che occupava lo Studio Ovale, ma la presenza al potere di un uomo simile lo ha reso ancora più rilevante.
Adam McKay si è scagliato contro il negazionismo climatico – una posizione di cui Trump è sostenitore – nella sua satira allegorica del 2021 Don’t Look Up, con Meryl Streep nei panni di una presidente degli Stati Uniti sprovveduta, vanitosa ed egoista. Streep era solo un personaggio secondario del grande circo delle idiozie che portava dritto all’apocalisse ambientale. Il film di James Gray Armageddon Time – Il tempo dell’apocalisse evocava la genesi di Trump attraverso l’autobiografia del regista, che ha frequentato uno degli edifici scolastici realizzati da suo padre. Un’analisi dell’ambiente da cui proviene il presidente che si ritrova quest’anno nel film The Apprentice, che racconta i primi passi del giovane magnate del settore immobiliare.
Quindi, che cosa dobbiamo aspettarci da questi nuovi quattro anni di Trump al potere? Un mandato che arriva dopo un lustro dal precedente. Avendo già sperimentato la sua presidenza, gli americani sanno molto bene che cosa li attende: erosione dei diritti civili, attacchi ai diritti delle donne e delle minoranze, xenofobia di Stato e così via. Questa rielezione alimenta un certo fatalismo, l’impressione che nulla possa arrestare le forze che sostengono il trumpismo, una sorta di rabbia diffusa che minaccia di sfociare nella violenza. E, davanti a questa sfida, che cosa può fare l’arte?
È legittimo aspettarsi che le opere prodotte nei prossimi anni saranno caratterizzate da un registro molto più cupo, che potrebbe ricordare il cinismo e la collera emersi nel periodo successivo all’11 settembre. Ma non sono da escludere anche attacchi più diretti contro Trump, perché, dopotutto, sembra che favole, allegorie e altri generi metaforici non siano riusciti a dissuadere le persone dal votare per lui. Non resta che fissare la Gorgone negli occhi, anche a rischio di rimanere pietrificati.
Ma un altro riflesso, più comune, consiste nel ripiegarsi su sé stessi, per paura di alienarsi una larga parte del Paese producendo opere esplicitamente critiche dell’ideologia trumpista. Sembra poco probabile che l’industria del cinema, che sta affrontando le proprie turbolenze, si assumerà rischi finanziari e artistici per produrre film che potrebbero attirare su di sé anche l’ira delle autorità.
È quindi dal fronte delle produzioni indipendenti e da quelle straniere che ci si può aspettare un risveglio. Ma nell’atmosfera pesante del momento, come si può biasimare un regista che sceglie di rifugiarsi nella bellezza e nella fantasia? Dal canto suo, la grande Hollywood potrebbe decidere di abbandonarsi anima e corpo allo spirito del tempo, sfruttando contenuti superficiali con un messaggio ruvido e conservatore come quelli del film Sound of Freedom o della serie Yellowstone.
E il pubblico, in tutto questo? Sarà probabilmente ancora più frammentato dalla potenza delle piattaforme e dei loro algoritmi. Quale tipo di film potrebbe spingere gli americani ad andare tutti insieme al cinema o a guardare la televisione in famiglia? Domande che già si ponevano prima delle elezioni, ma che oggi sono ancora più urgenti.