Il Britpop è tornato improvvisamente di moda

Ph. Christopher Furlong / Getty Images

di Elia Pelizzari (esquire.com, 2 settembre 2024)

Usciva nel 1997 il disco che avrebbe rivoluzionato la musica pop/rock. Parlo di Ok Computer dei Radiohead: un album cupo, distorto, calmo, un progetto che rispecchia lo spirito della band. Dodici canzoni in cui Thom Yorke, il cantante, monta e costruisce un preludio sconsolato su ciò che saranno gli anni Duemila con l’avvento sempre più deciso della tecnologia. I Radiohead portano una wave nuova nel panorama del rock britannico e per i media Ok Computer avrebbe anche sancito, tra le varie cose, la fine del Britpop.

Facciamo un passo indietro e cerchiamo però di capire di cosa parliamo quando si tratta di Britpop. È un sottogenere del rock che ha visto la sua età d’oro nella prima metà degli anni Novanta. Sostanzialmente, il Britpop nacque come forte risposta al rock Grunge delle band americane, Nirvana e Alice in Chains ad esempio. Le band di rottura sono state gli Oasis, i Suede, Blur e i Pulp: una sorta di Big 4 del rock inglese anni Novanta, tutte band che prendevano ispirazione fondamentalmente dai gruppi rock britannici, e qui parliamo di Beatles, Joey Division, Smiths.

La risposta agli Usa arrivò con una miscela di sonorità e stimoli sottoculturali che abbracciano il modo di vivere, di pensare e di vestire. Tutto, però, ha un lento ma inesorabile processo. Nella musica, uno dei monoliti del Britpop è stato sicuramente l’album dei Blur Parklife, che segnava un distacco netto dal Grunge, sempre più popolare. Ecco, il Britpop si presentava in maniera diversa, con un’identità fortissima. È pop inglese, giocoso, divertente, rock. I Blur nel 1994, ad esempio, tirarono fuori dei mix di sonorità: dal rock beatlesiano al Jazz, dalla Dance anni Settanta alle liriche pop.

I testi possedevano la peculiarità di avere come punto cardine il senso di orgoglio del cantare sotto la Union Jack. Era nato un nuovo movimento: rappresentavano una classe media che faceva un pop diverso. Anzi, era un rock-pop che aveva tutto dei gruppi precedenti, e ovviamente tra le ispirazioni spiccavano i soliti Beatles. La loro influenza fu importantissima, specialmente per quel duo che sarà di rottura nella wave Britpop, gli Oasis, la cui reunion ha contribuito in misura importante a far parlare di nuovo, nel 2024, di Britpop.

Il cambio di rotta con gli Oasis: dalla working class per la working class

In mezzo a tanti gruppi londinesi erano difatti arrivati i fratelli Gallagher, da Manchester. Cambiarono le regole del gioco nel modo di essere, di presentarsi al pubblico. Musicalmente, avevano tanto dei Beatles. Nella celebre Supersonic si cita non a caso Yellow Submarine, Little James è ispirata da Hey Jude. Potremmo farne una lista, ma non è questo il punto. È essenziale sapere che per gli Oasis i Beatles erano quasi delle divinità (come biasimarli). D’altro canto, il buon Liam è stato portavoce dello stile “John Lennon era”: capelli lunghi, occhiali circolari e colorati. Ciliegina sulla torta? Suo figlio si chiama Lennon. Se due indizi fanno una prova…

Noel e Liam “sfidarono” i Beatles. O meglio, sfidarono la storia della band di Liverpool. In un’intervista, infatti, dissero: “Diventeremo più importanti dei Beatles”, stimolando la perplessità di Paul McCartney che al magazine Q rivelò: “Questo è stato il loro più grande errore”. È solo la punta dell’iceberg dello stile Oasis: sarà un susseguirsi di rapporti conflittuali con chiunque, rapporti che diventeranno un biglietto da visita del gruppo. Da lì a poco andranno a divergere con i Blur nella celebre lotta del Britpop.

“Non venite a parlarmi dei Nirvana. Un paio di buone canzoni. Uno strafatto. Di loro non mi fregava un cazzo. Kurt Cobain era un triste coglione incapace di reggere la pressione. Noi siamo più forti”. Questa frase fu detta da Liam, decisamente aggressivo. Evidente è la linea separatoria netta tra Grunge e Britpop, emblema dello stile Oasis in quel tempo. I Gallagher si ponevano come brutti e cattivi, si atteggiavano a gang, senza limiti, e rappresentavano una fetta di popolazione che non usava certo mezzi termini. Quasi agli antipodi dalle altre band del tempo.

L’evoluzione dello stile Britpop

Ed è questo che ha reso gli Oasis immortali. Oltre alle canzoni dai miliardi di ascolti, a renderli continui nel tempo sono degli aspetti stilistici. È il fascino del ribelle, del working class hero: aspetti tanto forti da attirare l’attenzione della politica dell’intero Regno Unito. È una questione di stile, di moda. I fratelli Gallagher hanno preso e fatto proprio un immaginario importantissimo, avendo dalla loro una spessa fetta della società britannica. Infatti non solo riescono ad abbracciare la massa grazie alle sonorità pop e alle melodie accattivanti, ma vanno a toccare la loro gente, i lavoratori, anche nello stile di vita.

Il Britpop, come un lampo, è arrivato, si è preso il suo spazio e se ne è andato. Perché sì, il vero Britpop non esiste più, per lo meno da un punto di vista musicale. O meglio, esistono quelle band post-Britpop nate a fine anni Novanta o comunque sviluppatesi in quel periodo. Radiohead, Coldplay, o ad esempio l’album dei Blur del 1997 – si chiama proprio Blur – che va a discostarsi sempre più dal movimento. Si sentono indubbiamente le sonorità e quel tipo di attitudine, ma tutte le band appena citate hanno preso una direzione unica, lontana, sia musicalmente sia liricamente.

Anche nello stile i fan del Britpop sono rinchiusi in un loro meandro di ricordi, le bizzarre capigliature di quegli anni e quel mood generale sono andati a mescolarsi con i cambiamenti inevitabili del tempo. Quindi, cosa ci ha lasciato? Come si è evoluto? Nella sua espressione stilistica, probabilmente, il Britpop si è annidato nella cultura di massa andando a toccare l’abbigliamento, lo stile casual portato in voga dal movimento hooligans, gli ultras inglesi, e ancor di più sfruttato, plasmato a proprio piacimento dagli artisti Britpop.

Ad esempio i trench coat di Burberry, le adidas Samba, le polo Fred Perry, una serie di indumenti vintage dei grandi marchi come Adidas e Lacoste. Tutti pezzi che non sono mai scomparsi e anzi, mai come adesso stanno tornando di moda nelle piazze. Molti ragazzi riportano con forza questo stile, con qualche aggiunta. L’utilizzo degli shell della Arcteryx e la sempre più continua presenza dei vestiti CP Company. Tutti pezzi che costituiscono il cuore pulsante di un altro stile, il Gorpcore. Indumenti costosi da trekking, ma duraturi. Giacche in tessuti tecnici, scure, calde, che riprendono le linee guida del casual, dell’abbigliamento da stadio, sempre più parte integrante della moda attuale.

Il Britpop è stato il motore di una ribellione verso un mercato che cercava sempre di più il mood malinconico e autodistruttivo del Grunge d’Oltreoceano. Gli Oasis, e non solo, hanno fatto leva sulla forza della bandiera inglese sviluppando stimoli preesistenti nelle varie sottoculture. Il vestiario è caratterizzato completamente da capi unici ma non eccentrici, indumenti che da una parte si allontanavano dalla moda del centro e dall’altra erano vestiti nazionalisti; come il marchio Fred Perry, discusso e spesso associato al movimento “skinheads”.

Le maglie vintage anni Novanta sono state perno del Britpop: basti pensare agli Oasis con le jersey del Manchester City o ai Blur, londinesi sponda Chelsea. Maglie vintage che ora come non mai stanno tornando prepotentemente nella cultura di massa. Basti pensare ai tantissimi artisti che si esibiscono con addosso una maglia da calcio vintage: Travis Scott con quella della Juventus, Snoop Dogg con quella del Norwich, Ed Sheeran con la jersey dell’Irlanda ’94, Skepta con quella della Nigeria. Chi più ne ha più ne metta. È una moda tutta europea, che grida con forza una propria identità dal cuore della patria del calcio.

Un’eredità politica?

Politicamente parlando, il Britpop è stato portavoce della classe operaia e i suoi esponenti si sentivano sfruttati dai leader dei partiti per attirare voti. Col tempo, l’interesse della politica verso gli artisti del momento non si è perso. Il rapporto tra Tony Blair – e il Partito Laburista – e Noel Gallagher ha rappresentato un momento unico per la Gran Bretagna. Negli ultimi tempi anche Jeremy Corbyn, nuovo leader dei Laburisti inglesi, parve ottenere l’appoggio del rapper Stormzy, ma anche di Aj Tracy. Entrambi artisti ed esponenti di chi parve voler rappresentare gli interessi della cultura nera: “Sento che capisce cosa stanno passando le minoranze etniche, i senzatetto e la classe operaia” disse Stormzy in un’intervista, riferendosi a Corbyn. Un continuo di ciò che avevano iniziato gli Oasis, ma con esponenti politici diversi in tempi diversi.

Quindi il Britpop è tornato di moda? Non proprio, anzi, sono sopravvissuti i suoi aspetti stilistici più forti, probabilmente le loro prese di posizione. Tutto ovviamente ha subìto una innovazione, come ogni cultura nel corso degli anni, ma l’impatto è stato talmente forte da sopravvivere ancora oggi: e torniamo agli Oasis che hanno appena annunciato il loro ritorno. Acclamato e concitato. Atteso da qualsiasi tipo di ascoltatore, dai lads della working class a chi conosce solo Wonderwall e Don’t look back in anger.

È stato un movimento forte, un movimento di rottura, un movimento ribelle che in una certa misura viene trascinato nell’attualità dalla reunion degli Oasis. Una completa controtendenza rispetto al flusso dell’industria americana degli anni Novanta, che tuttora, come tutte le forme di ribellione autentiche, continua a vivere e a pulsare nel 2024. L’avreste mai detto?

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