di Giulio Zoppello (esquire.com, 10 agosto 2024)
Comprendere perché Alba rossa di John Milius sia diventato uno dei war movie per eccellenza degli anni Ottanta, ma più ancora uno dei film fondamentali per capire l’America, la sua mentalità e visione del mondo, significa tornare ad un periodo storico-culturale molto particolare. Eravamo nel pieno della contrapposizione tra Usa ed Urss, che aveva avuto nell’invasione dell’Afghanistan da parte di Mosca un momento di non ritorno.
Il boicottaggio incrociato dei Giochi Olimpici, l’inasprirsi della temperatura nello scenario internazionale, fece rinascere quel terrore per l’Olocausto Nucleare o per un terzo conflitto mondiale che pareva essere stato sepolto ai tempi della crisi dei missili di Cuba. La corsa agli armamenti, il continuo proliferare o decadere di dittatori e regimi favorevoli alle due Superpotenze in giro per il mondo, tutto questo non poteva che arrivare ad influenzare anche il grande schermo.
Ronald Reagan regnava incontrastato negli Stati Uniti, il suo corso politico vedeva il dominio del patriottismo, del machismo, si incrociava con il mito del successo rampante, del consumismo. Rambo, da simbolo del Post-Vietnam, era diventato l’eroe muscolare della resurrezione americana. E fu in questo clima che nacque Alba rossa, che della saga di Rambo fu a tutti gli effetti l’erede, capace di sfondare nel pubblico teen e non solo in modo imprevedibile.
Alba rossa nacque con il titolo di Ten soldiers, portava la firma dell’allora emergente Kevin Reynolds e doveva essere una sorta de Il signore delle mosche in chiave antimilitarista. Si parlò di Walter Hill alla regia, ma non se ne fece nulla fino a quando alla Mgm arrivò Frank Yablans e Reynolds non finì sotto l’ala protettrice di Steven Spielberg. Cambiò, però, l’atmosfera: da antimilitarista a patriottica, anche per l’interessamento del generale Alexander Haig, ex braccio destro di Nixon e di Reagan, all’epoca nel consiglio della Mgm.
Vi era la volontà produttiva chiara di creare un altro esempio del “rambismo” che allora andava tanto di moda e piaceva al pubblico generalista. Era l’epoca non solo di Rambo, infatti, ma anche degli action militareschi con Chuck Norris, di Firefox con Clint Eastwood o di Wargames che fu l’unico ad andare oltre il manicheismo. I buoni naturalmente erano gli americani e John Milius era l’uomo giusto per un racconto così polarizzato.
Regista straordinario per raffinatezza e capacità evocativa, con film come Conan il barbaro, Un mercoledì da leoni e Il vento e il leone aveva saputo porsi, assieme al già citato Hill, come punto di riferimento per una nuova dimensione visiva ma soprattutto narrativa. Era un regista virile, muscolare ma non privo di epica e di poesia, di sensibilità. Proprio quello che la Mgm voleva per Alba rossa, che nelle mani di Milius diventò qualcosa di molto diverso da ciò che Reynolds aveva immaginato.
Alba rossa comincia creando già di suo un parallelo tra le orde di Gengis Khan, che seminarono di morte e terrore un quarto del pianeta, e i russi, i cubani e i nicaraguensi che invadono l’America spinti dalla carestia, da una Nato che si è dissolta a causa del pacifismo becero. Calumet, nel Colorado, è dove comincia tutto e Alba rossa non perde tempo nel creare un’introduzione che, per la finalità ultima del film, sarebbe stata assolutamente inutile.
Tra i pochi che riescono a sfuggire a quell’invasione che John Milius strutturò basandosi sulla consulenza di Herman Kahn, ci sono Jed (Patrick Swayze) e Matt Ekcert (Charlie Sheen), circondati, nei panni dei vari coetanei e coetanee, da C. Thomas Howell, Lea Thompson, Jennifer Grey, volti iconici del Brat Pack, che, in quel decennio, dominava il botteghino legandosi al pubblico giovanile. Poi c’è un solidissimo character actor come Powers Boothe a donare realismo a un racconto che non esce mai dai confini di quella Contea.
In un certo senso si gioca tutto in casa, con agguati, battaglie, ma anche una sensazione di claustrofobia, decadimento di ogni certezza e del quotidiano che si sgretola. Nessun altro film lo aveva fatto prima. L’America è sola contro tutti, la Gran Bretagna è agli sgoccioli, la Cina invece, piccola chicca di realismo politico del film, è proprio al fianco degli americani, cui John Milius dona ciò che ancora oggi bene o male bramano: l’idea di essere il solo baluardo contro il male.
Quei ragazzi sono definiti dagli eventi, in loro si unisce l’essenza sia dei partigiani che in Europa lottarono contro l’aggressione nazista, sia soprattutto esteticamente dei mujahidin che in Afghanistan avevano distrutto il colosso militare sovietico. A quarant’anni di distanza pare assurdo pensarci, ma erano visti come nobili eroi, sacri guerrieri, e Alba rossa da questo punto di vista non fece che anticipare Rambo III. A pensare a quanto è cambiato lo scenario geopolitico, all’11 settembre e a ciò che è venuto dopo, non può che strappare un amaro sorriso tutto questo.
Alba rossa però, fu fatto notare da molti, strizzava l’occhio in parte anche all’epica neo-confederata, alle imprese di Quantrill, dei guerriglieri che resero impossibile la vita nel middle-border alle truppe nordiste durante la Guerra di Secessione. Un altro elemento utile all’epoca per etichettare Alba rossa come un film ultraconservatore tout court, ma la realtà è che John Milius fece qualcosa di meno manicheo e meno netto.
Quei ragazzi e quelle ragazze, costretti a uccidere per sopravvivere, ad affrontare fame e stenti, moriranno uno dopo l’altro, senza alcuna esclusione. Gli stessi nemici, benché ovviamente mostrati come una controparte da combattere, sono composti da ragazzi che Milius rende sovente terrorizzati dalla morte. Oppure da uomini che, come nel caso del colonnello Ernesto Bella (Ron O’Neal), rifiutano quel carnaio indiscriminato, le rappresaglie sui civili. Certo, il tutto a favore del “mondo libero” contro il comunismo.
Alba rossa ebbe un buon successo al botteghino, e mostrò che si poteva creare qualcosa di più dei tanti epigoni di Rambo che uscivano in quegli anni. Vi sarebbe poi strato, nel 2012, un terribile remake con protagonista Chris Hemsworth, quasi uno scult. Ad ogni modo, l’impatto che ha avuto il film di Milius è stato incredibile: ha interessato sia il cinema sia le serie tv, tanto i romanzi quanto i pilastri della narrazione videoludica come Modern Warfare o Battlefield, è tornato in vita più volte con i suoi personaggi, momenti e sequenze.
Alba rossa è in quasi tutte le liste dei migliori film di destra, rappresenta la visione ideologica americanocentrica, il rifiuto di ogni contaminazione esterna, di un diverso punto di vista della Storia e dell’umanità. Milius, che si dimostrò anche qui regista fedele al concetto di mostrare e non spiegare, fece ciò che nessun altro avrebbe potuto fare, a parte Hill naturalmente: dare credibilità a una trama propagandistica.
Sono passati quarant’anni, il film non è invecchiato benissimo per certi aspetti ma per altri, invece, rimane una delle disamine più accurate che vi siano su una certa America, quella delle tre B: Bibbia, Baseball e Bossoli. Un’America che ha paura del diverso e della modernità, che oggi rimpiange i tempi in cui Alba rossa e Reagan regnavano, che vota Trump come votò i Bush, che chiede un nemico chiaro da combattere, per essere ancora l’Impero del Bene e il Paese delle staccionate, dei fucili e degli eroi fatti in casa.