Olimpiadi e disinformazione: l’acqua di cui noi pesci non sappiamo nulla

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di Maria Antonietta Calabrò (huffingtonpost.it, 5 agosto 2024)

La prima settimana delle Olimpiadi, è stata dal punto di vista di quelle che si chiamano “misure attive”, cioè l’intervento disinformativo da parte di Stati o agenti statali, una settimana da iscrivere nei manuali. Se Mario Caligiuri, considerato uno dei massimi studiosi europei di intelligence, non avesse già pubblicato nell’aprile del 2024, per i tipi di Luiss University Press, il suo saggio Maleducati, avrebbe sicuramente dedicato alla “disinformazione olimpica” (a cominciare dall’operazione Last Supper) un capitolo del suo ultimo libro.

Caligiuri non è solo un esperto di intelligence, ma anche uno dei primi studiosi della disinformazione in Italia. Infatti ha coniato nel 2012 la definizione di “società della disinformazione”. «La disinformazione rappresenta secondo me», scrive Caligiuri «l’emergenza educativa e democratica di questo tempo, in quanto accentua pericolosamente la difficoltà di comprendere la realtà e i fenomeni che ci circondano e ci orientano. Si è consolidata infatti una società della disinformazione, che si caratterizza in modo assai preciso: la dismisura dell’informazione da un lato e il basso livello sostanziale di istruzione dall’altro. Questo determina un cortocircuito cognitivo che allontana le persone dalla comprensione delle reali dinamiche sociali».

Ciò è dovuto, in particolare nel nostro Paese, a un sistema formativo anche universitario che non riesce a creare una classe dirigente che sappia comprendere ciò che effettivamente avviene. L’obiettivo reale di questo processo è il controllo della mente delle persone, «che rappresenta il campo di battaglia dove si vincono o si perdono i conflitti per il potere a livello globale». La storia della disinformazione nasce con l’uomo, attraverso l’affinamento progressivo delle “misure attive”, che consistono in attività di influenza progettate appositamente per raggiungere un obiettivo specifico, in quanto «confondono in modo irreversibile il confine tra vittima e aggressore, tra osservazione e partecipazione, tra realtà e rappresentazione».

Nulla di nuovo sotto il Sole, poiché Polibio, riprendendo Eschilo, già avanti Cristo aveva evidenziato che “nella guerra la prima vittima è la verità”. Ma si tratta purtroppo di un fenomeno che è cresciuto esponenzialmente negli ultimi anni, amplificato da Internet e dai social media. Mai come in questi anni di pandemia, e subito dopo con la guerra della Russia contro l’Ucraina, «è evidente come accanto alla guerra reale vi sia quella dell’informazione, che provoca effetti distorsivi devastanti».

Per descriverli Caligiuri cita Marshall McLuhan, il quale ricordava che «quello di cui i pesci non sanno assolutamente nulla è l’acqua». Vale lo stesso per noi, che siamo totalmente immersi nella disinformazione e cogliamo l’esatto opposto della realtà. Per difendersi dalla disinformazione – afferma Caligiuri – c’è un solo, unico, possibile strumento: l’educazione, che serve per individuare le informazioni rilevanti, sviluppare il pensiero critico e connettersi con il proprio tempo. La disinformazione si è affermata sempre di più in Italia a causa dell’ulteriore abbassamento del livello di istruzione sostanziale, e quindi di comprensione della realtà, determinato dalle riforme della scuola e dell’università che si sono susseguite durante la seconda Repubblica.

Infatti, pur registrando nei decenni successivi un aumento del numero dei titoli di studio, le ricerche dimostrano che addirittura chi possiede titoli di studio elevati presenta gravi deficienze di base. «In definitiva, conclude Caligiuri, «la situazione educativa che ci vede negli ultimi posti delle classifiche dei Paesi avanzati e la struttura del sistema mediatico, composto da giornali, televisioni e Rete, non devono fare sorprendere che il Paese dove maggiore è lo scarto tra realtà e percezione della realtà sia l’Italia».

«In tale stato delle cose concorrono in modo determinante il sistema dell’istruzione e il sistema mediatico: il primo per l’incapacità di creare capacità alfabetiche e razionali che sostengano il senso critico, il secondo per la sistematica azione manipolatoria che accentua lo scarto tra realtà e percezione della realtà». In conclusione, «si potrebbe ipotizzare che la disinformazione stia progressivamente condizionando tutto il dibattito pubblico». Pertanto, alle misure attive della propaganda, e quindi della disinformazione, occorrerebbe rispondere, secondo Caligiuri, con uguali «misure attive di politiche educative», che potremmo definire «contromisure educative» o «misure di controeducazione».

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